il fossato
Il direttore della edizione pesarese del Resto del Carlino ha chiosato la sparuta partecipazione al presidio convocato dal Sindaco per protestare contro la decisione del Governo relativa al Piano Periferie, affermando che alla sinistra di oggi manca un popolo. Ilvo Diamanti scrive che il Popolo ai tempi della disintermediazione non esiste, è una costruzione, va ridefinito continuamente.
La cosa è vera e si può declinare in tanti modi. Non si ha un popolo perché non lo si vuole avere, ci sono in tal senso esempi illuminanti nella storia politica del paese, dal Partito d’Azione al Partito Repubblicano, forze che esprimevano una intellettualità anche raffinata ma non interessate a farsi popolo.
Non si ha un popolo perché non si ha una classe dirigente adeguata al popolo che si vorrebbe rappresentare.
Non si ha un popolo perché lo si perde per strada a causa di un cambiamento identitario perseguito gradualmente ma inesorabilmente tanto che il popolo sulle cui spalle ci si appoggiava non si riconosce più.
Non si ha un popolo perché appunto ai tempi del populismo non c’è un popolo ma un popolo che si definisce volta per volta a seconda del messaggio che si vuole far arrivare.
Questa cosa c’entra e molto con un pensiero martellante: le elezioni amministrative nel mio comune si avvicinano. Non è facile per chi ha dedicato tanti anni alla propria città e per chi vede ancora al governo cittadino uomini e donne che ha visto crescere dentro ad una comune esperienza politica, essere oggettivo, non mescolare sentimenti e analisi, non pensare a come una cosa che dici può essere interpretata e anche ferire persone che ti appartengono, non pensare anche in una ottica del minor danno.
Si potrebbe parlarne, sì, ma dove? Poi a chi interessa davvero parlare. E’ una pratica rottamata da chi non regge il confronto e ama il potere. Ovvero dai più, oggi.
Si potrebbe tacere, e quando mai ho taciuto in vita mia? Mai. Fosse a scuola o a casa neanche da ragazzo, mai! No, tacere non fa per me.
E infine, per rassegnarsi al minor danno c’è sempre tempo.
Comincio da qui. Qual è il messaggio che da chi governa si vuole che arrivi al popolo tanto che il popolo stesso vi si riconosca. Chi governa come intende definire il suo popolo e soprattutto lo vuole davvero.
L’immagine che mi si materializza davanti quando penso al mio Comune è il fossato.
Quello che si è creato fra la realtà socioeconomica della nostra città e l’asse strategico di governo della città stessa sempre che se ne possa vedere uno. Poi, per me in modo prevalente, il fossato fra la cultura di governo che si percepisce oggi e la cultura che mi appartiene e che ho sempre pensato fosse intrisa nell’anima di questa città. Anzi non ho dubbi che ancora lo sia in quel popolo che ci sta abbandonando.
Cosa fa notizia oggi a Pesaro? Meglio cosa si vuole che faccia notizia oggi a Pesaro?
Rispondetevi da soli amici pesaresi. Fate mente locale un solo attimo e rispondetevi da soli, è importante fare questo esercizio. Io non ho paura di sbagliare e riconoscere che le mie conclusioni siano errate.
Mi limito solo a mettere in chiaro che non ho nulla contro i “Braceri” e le “Candele”, ho molto invece contro il “bancarellificio” parossistico e le balle di paglia in una piazza rinascimentale durante il Rossini Opera Festival ( unico momento che ancora, nonostante certe cadute, riconosco).
I “Braceri” poi mi stanno assai simpatici, mi ricordano le fanciullesche bande dei quartieri che si davano appuntamento per fare a botte e alla fin fine sono una via di mezzo fra la goliardia e i Ragazzi della via Pal. Sono di un maschilismo che negli anni ’70 li avrebbero fatti a pezzi ma non fanno male a nessuno, certo fanno comunità, non credo nel senso migliore, ma di qui a farne un totem comunicativo del Comune ce ne passa.
Ma è di questo davvero che vogliamo che si parli? E’ così che chi governa definisce quotidianamente i confini del suo popolo? Oppure delle feste in spiaggia dove il problema è fino a che ora? Se il tema è tenere a Pesaro lo sballo, per evitare che ci si vada a sballare a Rimini sempre di sballo parliamo. E se è il Comune a parlarne in continuazione come un fatto da organizzare, promuovere, il Comune educa più o meno consapevolmente a quella idea.

Sì il Comune è talmente importante nella vita dei cittadini, come la famiglia e la scuola, che ha un peso educante, non perché persegua una sua propria etica o una sua pedagogia, guai al Signore! Però fa pendere con le sue scelte di valore la bilancia della idea di comunità che ognuno di noi ha. E il suo pesa è molto grande, altrimenti non avrebbe significato la tiritera sulla istituzione più vicina ai cittadini. Quindi il Comune contribuisce in modo determinante alla definizione del popolo anche in un periodo fi fluida disintermediazione.
Lo dico diversamente. Se il Comune facesse ogni tanto discutere i cittadini e i media sulla partecipazione democratica alle proprie scelte, e soprattutto operasse sulle forme di democrazia delegata verso il basso, sul valore del confronto, il Comune educherebbe ad una precisa idea di democrazia che è quella della Costituzione e rafforzerebbe una idea di cittadinanza evoluta e consapevole.
Altrimenti, volente o nolente, il Comune legittima uno svuotamento della democrazia dove c’è l’eletto e il popolo spettatore. Poi non ci si lamenti se crescono i populismi. Il populismo non è stato sdoganato dai populisti di oggi. Certo questo comporta fatica perché non basta fare un annuncio.
Se il Comune riempisse le pagine dei giornali per una sua ricerca innovativa in merito alla trasparenza, alla legalità rivolta al suo modo di funzionare e di organizzare la macchina amministrativa aiuterebbe i cittadini a comprendere il valore di queste parole, trasparenza e legalità che fanno il paio con sicurezza e uguaglianza e non legittimerebbe una idea della politica e del governo dove se sei con me ok se sei contro di me sei out.
Se il Comune parlasse almeno 200 giorni all’anno pubblicamente di servizi sociali, di servizi educativi e su questo chiamasse a confronto le migliori intelligenze e avviasse sperimentazioni innovative rilancerebbe un messaggio potentissimo di valore e accoglierebbe quel bisogno di protezione che emerge dalla città e scivola verso le strumentalizzazioni più bieche. Altroché piano delle periferie!
A proposito, l’idea vincente di Pesaro è sempre stata di affermare che non esistono periferie ma quartieri! Un pochino più potente come messaggio che dire eliminiamo i semafori. Non basta dire non abbiamo tagliato niente al sociale. Il valore delle idee sta nell’agire sul senso comune trasformandolo. Non lo ha detto un pubblicitario ma Gramsci.
Se il Comune discutesse di urbanistica e ambiente al tempo della crisi economica e della crisi ambientale ne verrebbero fuori a iosa confronti e scontri che farebbero crescere l’attenzione della cittadinanza non su cose effimere che il giorno dopo lasciano solo più lavoro per gli operatori ecologici ma su beni comuni che sono parte indissolubile di una idea di cittadinanza. Quante litigate abbiamo fatto in questa città sull’urbanistica? Eppure sono servite eccome. Vuoi che il cittadino non percepisca la sua città solo dalla finestra di casa sua? Devi parlare della sua forma, delle sue relazioni infrastrutturali e sociali, dei beni essenziali non riproducibili. Altrimenti è il particolarismo che vince e non governi più nulla.
(sulla cultura mi prendo un trimestre sabatico!)
Forse si trasmetterebbe un messaggio più serioso meno frizzante, ma in Comune chi governa deve costruire un sentire con i cittadini che non si esaurisca in un attimo ma si sedimenti, diventi cultura, produca un sentimento solido di vicinanza pur nella innovazione e nei cambiamenti. Se ragiono così è perché penso ai giovani e sono convinto di farlo più di chi pensa di organizzare cose per i giovani. Non vi sembri un ossimoro.
La rassegna stampa di questi anni è impietosa e quel maledetto fossato sta lì davanti a me. Cercasi ponte disperatamente e mi pare di non essere il solo.