Non trovo nulla di sbagliato nel fatto che i sindaci facciano campagna elettorale per il Referendum sulla riforma della Costituzione del prossimo 4 dicembre. I sindaci sono figure politiche, hanno delle convinzioni, delle appartenenze, sostengono o combattono scelte fatto dal Governo, dal Parlamento in piena libertà.
A margine devo notare onestamente che questa libertà di critica hanno saputo esercitarla maggiormente i sindaci di FI e Lega Nord durante gli anni dei governi Berlusconi. Ve ne erano sempre nelle manifestazioni sui contenuti delle riforme o delle leggi finanziarie. Oggi quelli del mio partito,il PD,durante questi anni del governo attuale li vedo molto coperti e allineati. Sarà il clima generale di smarrimento e sfiducia sulla possibilità di incidere che si è fatto strada durante la crisi; l’essere sommersi tutti i giorni dalle emergenze deve lasciare poco spazio al resto e deve essere durissima. A loro tutta la mia vicinanza e solidarietà.
Quello che onestamente mi sfugge è perché dovrebbero fare campagna per sostenere le ragioni del Sì.
Ho già trattato nel mio scritto “Di sana e robusta Costituzione” (www.orianogiovanelli.it) il carattere profondamente neocentralista di questa riforma. Dice efficacemente l’ex ministro del governo Prodi, G.M. Flick: “…l’eccesso di decentramento – attuato con la riforma del 2001- non può essere corretto con l’eccesso opposto di un accentramento pressoché totale…”
Ma c’è un punto per me rilevantissimo che sfugge ai commenti dei più e che non solo conferma questo giudizio di Flick ma lo aggrava e si tratta, udite udite, del destino delle tanto bistrattate e vilipese Province.
Prima dobbiamo metterci d’accordo almeno su due cose: 1) se il dibattito su questa riforma lo vogliamo fare sulla demagogia, ad esempio “ridurre il numero dei politici”, o sul merito; 2) se davvero crediamo che la Costituzione deve essere “la casa comune “ (A. Reichlin) di tutto il popolo italiano.
Se rispondiamo che conta il “merito” della riforma e che “ sì “ la Costituzione deve essere la “casa comune” di tutti gli italiani allora possiamo passare a parlare di uno degli argomenti più ingiustamente impopolari e oggetto di assurde semplificazioni che la storia politica nazionale abbia conosciuto, ma che, avendo goduto di una campagna mediatica martellante, strumenti di quel establishment che ha aizzato la bestia populista e ora invoca le riforme per fermarla, sono diventate voce di Dio.
Per farlo dobbiamo affrontare un altro “ combinato disposto” , molto meno famoso di quello fra la riforma costituzionale e la legge elettorale, ma altrettanto rilevante per la vita quotidiana dei cittadini, ossia il combinato disposto fra la riforma costituzionale e la legge Del Rio.
Questa legge, la 56 del 2014, ha dettato norme sulle città metropolitane, le province e le unioni dei comuni.
L’attuazione della riforma ha evidenziato una serie di problemi, dal sistema elettorale che prevede l’ elezione di secondo livello degli organi delle città metropolitane e delle province, alla diversità con cui le regioni hanno legiferato sulle funzioni accessorie da attribuire loro, dai confini, direi assurdi, delle città metropolitane al taglio di risorse pesantissimo fatto a danno delle ex province.
Diciamo quindi che già l’applicazione della Del Rio nata per dare un senso rafforzato al principio di sussidiarietà facendo perno sui comuni e non frapponendo altro fra essi e le regioni, ha dato luogo ad una serie di problemi: di democrazia e basti pensare il disinteresse generale dei cittadini rispetto alle recenti elezioni dei Consigli metropolitani; di organizzazione delle risorse umane ; di organizzazione amministrativa con il fenomeno della riappropriazione da parte delle regioni della gestione diretta di alcune materie prima delegate alle province con conseguente distacco dal territorio e infine, ma non per importanza, fenomeni di vero e proprio abbandono causato dai pensanti tagli del Governo. E’ sufficiente farsi un giro per le strade provinciali di uno dei tanti entroterra del nostro paese. Per non dire al vuoto che si è aperto anche solo in termini autorevolezza in materia di governo dell’ambiente e della pianificazione territoriale .
Se si fa una riforma e la prima cosa di cui ci si preoccupa è accarezzare la demagogia e il primo obiettivo che si persegue è quello di dimostrare che si risparmia, si finisce per strangolare le politiche territoriali e danneggiare i cittadini. Non i cittadini in modo indifferenziato ma quelli che vivono nelle aree interne alpine o appenniniche che siano, quelli che per raggiungere scuole e ospedali devono fare chilometri, quelli che esistono in carne ed ossa anche se sembra che ora esistano solo quelli delle città grandi salvo contarli in occasione dei terremoti.
Beh si dirà, basta fare il punto sulla attuazione della legge Del Rio , correggerne alcuni aspetti, magari rimetterci dei soldi.
Sarebbe già qualcosa anche se dubito che un Governo così attento ai tweet se la sentirà di dire che alle province a costituzione invariata va dato un miliardo in più e ammettere che il risparmio era una balla. Infatti questo gesto responsabile non accadrà e non solo per ragioni di immagine, ma per il fatto che su questa caotica situazione, se vinceranno i Sì, calerà come un maglio la riforma costituzionale.
Infatti essa prevede che dovunque nella nostra Costituzione appare la parola Province, essa deve essere cancellata e sostituita con…niente. E se ne vantano pure in televisione!
Si dirà che è già cosi, che non si vota già più per i consiglieri provinciali, per i presidenti, non esistono già più le giunte provinciali. Vero.
Ma un livello istituzionale non esiste solo perché ha degli organi politici eletti direttamente dai cittadini, esiste perché ha delle “funzioni proprie” e a fronte di quelle ha delle risorse finanziarie e umane dedicate. Con la cancellazione della semplice parola Province dal nuovo testo costituzionale quelle “funzioni proprie” spariranno, perché il nuovo art. 118 3° comma limiterà ai comuni e alle città metropolitane la possibilità di esserne titolari e con esse spariranno anche le risorse dedicate.
E quindi cosa accadrà alle seguenti funzioni:
1 pianificazione territoriale di coordinamento
2 pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale e autorizzazioni al trasporto privato e costruzione e gestione delle strade provinciali
3 programmazione della rete scolastica
4 raccolta dati e assistenza tecnica agli enti locali
5 edilizia scolastica
6 controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità
7 cura dello sviluppo strategico del territorio e gestione dei servizi in forma associata.
E alle altre “funzioni accessorie” che erano state attribuite dalle regioni alle province secondo il principio di sussidiarietà cosa accadrà?
Allora la mia semplice domanda è: chi farà queste cose se vincerà il Sì?
Non è una questione di poco conto. Si ha presente di come è fatta l’Italia? Che 5700 sono piccoli comuni sotto i 5000 abitanti? Che le Province hanno sempre fatto da riequilibrio a favore di questi rispetto al peso delle città più grandi? Non è già grave lo squilibrio fra aree costiere e aree interne? Non si vede il rischio di progressivo abbandono ambientale, i rischi idrogeologici per non dire di quelli sociali?
La riforma costituzionale sembra preoccuparsene, ma non può dare la risposta più sensata a questa domanda perché la pelle delle province è stata venduta già molte volte. Si limita a dire all’art.40 comma 4 delle disposizioni finali che : “per gli enti di area vasta, tenuto conto anche delle aree montane, fatti salvi i profili ordinamentali generali relativi agli enti di area vasta definiti con legge dello Stato, le ulteriori disposizioni in materia sono adottate con legge regionale…”
Tradotto in lingua volgare cosa vuol dire questo? Vuol dire che bene che vada lo Stato farà una legge di principio sulle forme associative dei comuni ai sensi dell’art. 117 lettera “p” e sarà compito delle leggi regionali decidere se dar vita a livelli di “area vasta”. Quello che comunque mi pare certo è che l’ area vasta non potrà avere “funzioni proprie” ma solo quelle che gli verranno attribuite dalla regione e dai comuni e tanto meno far riferimento a tributi propri. Questo comporta tre semplici ma gravi conseguenze:
1 Le regioni saranno spinte, anche per compensare la perdita di peso in campo legislativo, a mantenere per se la gestione amministrativa di molte funzioni allontanandole così dal territorio e dalla partecipazione dei comuni , dei soggetti sociali, dei cittadini. Almeno si risparmierà? Assolutamente no perché sarà un florilegio di agenzie con poltrone da spartire, uffici da aprire ecc.
2 Le regioni subiranno uno stravolgimento radicale rispetto alla riforma costituzionale del 2001 per la quale sono organi di programmazione e di legislazione e solo eccezionalmente di gestione. Con buona pace della coerenza del testo costituzionale.
3 Bene che vada l’area vasta sarà una aggregazione amministrativa senza alcun profilo politico istituzionale. Una specie di consorzio. Francamente conoscendo le dinamiche non solo istituzionali ma anche associative e politiche dei territori questa mi sembra una piegatura tutta burocratica di problemi che spesso invece hanno bisogno di una sintesi politica. Per alcuni problemi la sintesi fra Mercatello sul Metauro e Pesaro non la fa la tecnica economica, la può fare solo la politica. Il che mi fa dire che saranno esperienze che se nasceranno falliranno anche molto presto.
Ecco perché più leggo questa riforma costituzionale e più la vedo come un attacco quasi mortale alle autonomie territoriali e comunali in specie. Ecco perché penso che questa riforma ci allontana dal disegno di Repubblica richiesto dall’art. 5 della nostra Carta e le autonomie invece di essere riconosciute e promosse, saranno sempre più vittime di una visione accentratrice: di legislazione e gestione da parte del Governo nazionale; di gestione amministrativa da parte delle regioni e delle città metropolitane, con buona pace del carattere originale, ricco e straordinario del nostro territorio.
Allora mi viene in mente il secondo comma del bellissimo articolo 3 della nostra Costituzione: E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che , limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Purtroppo se questa riforma sarà approvata, l’assetto istituzionale della Repubblica che deve garantire che si faccia ciò che l’art. 3 dice andrà invece in senso opposto. Certificherà un fossato sempre più profondo fra luoghi decisionali e realtà sociale, aree forti e aree deboli del paese, fra grandi città e piccoli comuni, fra realtà costiere e i mille entroterra d’Italia, aggravando una situazione di disparità nella vita concreta delle persone e nei loro diritti di cittadinanza.