Le conseguenze politicamente coerenti e sagge che occorrerebbe trarre dal successo dei due referendum tenutosi il 22 ottobre scorso in Lombardia e Veneto sono essenzialmente tre, le quali  vanno affrontate  con una premessa.

A nessuno venga in testa di derubricare il fatto a pura manifestazione esteriore e anticipazione della imminente campagna elettorale. Sono ormai trent’anni che la questione cova sotto la pelle del paese. E’ figlia di una unità nazionale mal fatta analizzata in tutta le sue contraddizioni già da un secolo; correttamente impostata dalla Costituzione repubblicana di cui il 2018 festeggiamo il settantesimo compleanno  con la previsione del  regionalismo; accantonata per tutta la durata della guerra fredda dal sistema ipercentralistico messo in piedi dai governi democristiani che si sono succeduti; avviata a soluzione dal 1970 ma da subito boicottata e negata nei fatti; ripresa con serietà  dal 1990 e portata ad un punto di sintesi parziale con la riforma costituzionale del 2001; di nuovo accantonata dai governi che si sono succeduti dal 2001 ad oggi, con una significativa parentesi positiva per iniziativa del Parlamento con la costituzione della bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale che data dal 2009; sottoposta ad un vero e proprio tentativo di depennamento con il referendum del 4 dicembre 2016 che ha ricevuto una risposta netta e chiara.

E’ dunque tempo di mettere ordine a questo andirivieni e  riprendere un  percorso coerente e lungimirante, portandolo fuori dalle secche di problemi oggettivi cui si è sempre aggiunto un boicottaggio sistematico di un residuo di cultura risorgimentale proprio di una elite che si auto considera “illuminata”, molto influente presso le alte istituzioni nazionali, che ha sempre visto le autonomie e l’autogoverno delle istituzioni locali ( qualche volta il pensiero del popolo stesso) come il fumo negli occhi.

Che fare dunque, quale programma consegnare alla prossima legislatura facendo tesoro del risultato referendario?

1 Il presidente del Veneto Zaia ha fatto, nemmeno tanto nascostamente, la proposta di dare alla sua regione lo status di regione “speciale”.  Se fa sul serio questo è il modo giusto per buttare a mare un indubbio successo politico. Ma io credo che egli in vero evidenzi un tema che esiste. Il Veneto sostiene una “concorrenza sleale” ai suoi confini di due regioni a statuto speciale il Friuli Venezia-Giulia e il Trentino Alto Adige. Vi sono comuni che spingono per lasciare il Veneto attirati da condizioni di vantaggio che le altre due regioni hanno. Il problema esiste ed è più complessivo.

Una maggiore autonomia per le regioni ai sensi dellart.116 III comma della Costituzione deve essere lo strumento attraverso cui non solo non creiamo nuove regioni a statuto speciale ma finalmente riconsideriamo quelle esistenti. Se si fosse approvato il referendum del 4 dicembre scorso questo sarebbe diventato praticamente impossibile, invece ora si può anzi secondo me si deve. La storia, quella europea in primo luogo ha avuto cambiamenti tali che certe specialità vanno radicalmente riconsiderate mentre magari altre sono confermate o altre ancora sono emerse ma probabilmente  non coincidenti con i territori attuali.

2 Il regionalismo è fatto oggetto di critiche spesso motivate: localismo, duplicazione, frammentazione, sprechi ecc. Mai chiudere occhi e orecchi a critiche documentate. Io credo che il regionalismo previsto dalla costituzione sia una risorsa straordinaria soprattutto se letto e vissuto in chiave di una evoluzione della unità politica dell’Europa. La globalizzazione non solo  ha messo in crisi irreversibilmente gli stati nazionali ( a meno di grandi paesi che potremmo chiamare nazioni/mondo) ma ha sfigurato la loro essenza storica tutta dentro ad una logica sovranista; strumenti d’ordine a tutela di interessi precostituiti, finanza  grandi imprese per lo più. Oligarchie, che agitano l’idea nazione come strumento di difesa raccogliendo così il consenso di un popolo che vive periferie esistenziali e in preda alla rabbia e alla paura,  salvo poi usare quel consenso contro gli interessi del popolo, soffocando e svilendo  la democrazia , privatizzando i beni comuni e destrutturando i servizi a carattere universalistico, in primis la sanità.

Il regionalismo è il modo in cui un potere che si fa democratico e sovranazionale in Europa può mantenere un ancoraggio efficace con i sistemi territoriali, la democrazia diffusa, la filiera corta delle comunità locali.

Certo che è complicato lavorare per questo disegno con 20 regioni. Bisogna affrontare il tema di una loro integrazione in regioni più grandi e si vedrà che anche tutta la filiera istituzionale sottostante le regioni troverà le condizioni per respirare in modo diverso. Penso alla situazione drammatica in cui è stato posto l’ente d’area vasta dalla riforma Del Rio e al tema della frammentazione municipale.

3 Il nuovo Parlamento deve riaprire da subito il file del federalismo fiscale. In particolare con il governo Renzi i comuni sono di fatto diventati gabellieri per conto dello Stato centrale. Della autonomia fiscale locale è stata fatta carne di porco.

Senza autonomia fiscale non c’è responsabilità e senza responsabilità non c’è autonomia.

“la democrazia esige corresponsabilità che si ha solo quando il potere è più vicino ai cittadini”

(Piero Bassetti già presidente della Regione Lombardia)