E’ vero non è un problema di coalizioni politiche è un problema di contenuti. Io non so se quella del responsabile degli Enti Locali del PD sia stata solo una risposta polemica alle osservazioni di Andrea Orlando relative al risultato pesante delle elezioni amministrative. Fatto sta che la condivido e quindi la prendo per buona. Il centro sinistra perde sia laddove il PD si presenta nel suo splendido isolamento sia quando si presenta in una coalizione larga .
Il centro sinistra perde perché non sa più cosa dire ai cittadini in merito al governo delle questioni di contenuto che riguardano la vita delle città grandi e piccole. Il PD e il centro sinistra hanno smesso di passare il loro tempo a leggere la realtà, di provare a capirla con umiltà, di studiare le possibili soluzioni con le competenze migliori, e soprattutto di supportare le singole scelte con una griglia di valori solidi e comprensibili.
Il problema del PD e del centro sinistra è che non esprime una cultura di governo per le complesse realtà territoriali, dopo averne dissipato una di valore secolare che con alti e bassi aveva attraversato tutto il novecento ad opera delle amministrazioni di sinistra. Una sinistra non avvezza al governo nazionale ma di certo con capacità straordinarie e qualità elevatissima sul piano del governo locale. Ed ha ragione Veltroni, aver “democristianizzato” il PD ha incentivato questa operazione di rimozione di un grande patrimonio che nelle sue più alte espressioni seppe svolgere un ruolo davvero egemone capace di condizionare anche quelle esperienze, non molte, di successo marcate DC come ad esempio Brescia o Macerata.
Quella cultura di governo non si sarebbe fatta trovare spiazzata dal fenomeno delle periferie sociali territoriali e sociali perché prioritariamente era a loro che guardava anche quando nella vita concreta trattava con le forze imprenditoriali e ne assecondava la crescita.
Quella cultura di governo non si sarebbe rassegnata al fenomeno dell’abbandono delle urne da parte del 50% dei cittadini, perché per tempo avrebbe lanciato l’allarme democratico; si sarebbe immersa nel fenomeno alla ricerca di tutte quelle forme di democrazia partecipativa e diretta capace di tenere alto il livello della coscienza civica invece di assecondarne la demolizione rubricandole come spreco del denaro pubblico o peggio come complicazioni inutili.
Quella cultura di governo creava laboratori con i migliori studiosi sulle tendenze dello sviluppo urbano e non cercava l’archistar di regime per farsi fare uno spot.
Quella cultura pianificava, nel senso che studiava le tendenze evolutive dei settori produttivi e non si abbandonava ad uno stupido liberismo per cui tanto ci pensa il mercato, e difendeva produzioni e tipicità dei luoghi, vera eccellenza del paese tanto che ancora se vogliamo ripartire pare che ai distretti territoriali agricoli, produttivi e turistici dobbiamo guardare.
Quella cultura non si infilava in campagne ideologiche sulle questioni sociali, ma le approfondiva per capirle e farle capire. Pare che la questione migranti abbia pesato parecchio sul voto. Beh si pensa forse di affrontarla con le polemiche nei trenta giorni di campagna elettorale etichettando come razzisti tutti quelli che sentono drammaticamente il problema, magari amplificato dalle proprie condizioni di pensionati prossimi alla soglia di povertà o genitori di figli disoccupati e privi di ogni copertura assistenziale? Poveri illusi! Più i problemi sono complessi più complessa è la risposta e più chiara, paziente e quotidiana deve essere la spiegazione ai cittadini. Mettere la testa sotto la sabbia come si è fatto con la denuncia del procuratore di Catania è proprio il modo sbagliato di muoversi. Il realismo e il pragmatismo quando sono certi i valori di riferimento, non tolgono nulla alla umanità dei provvedimenti e tenere aperti gli occhi sulla realtà delle cose è sempre il migliore degli approcci.
Quella cultura che attingeva alle radici più profonde del riformismo cooperativo e socialista dei primi del novecento, non si poneva mai frontalmente contro il mercato ma non aveva dubbi sulla difesa totale e la promozione di beni comuni universali come la salute e la scuola. Si curava anche con intelligenza di servizi a domanda come quelli a rete o di trasporti pubblici, invece di inseguire gli appetiti privati desiderosi non di aprire il mercato ma di mettere le mani su mercati protetti. Ad ognuno di questi dedicava momenti di discussione “le conferenze” costruite a partire dal confronto delle diverse pratiche sviluppate nei territori, in modo tale che ciò che di più buono veniva prodotto diventava “linea di condotta “ da promuovere, da radicare nel paese fino a farne elemento distintivo della propria cultura di governo. Era un lavoro lungo, oscuro, una vera e propria semina che dava risultati non immediati ma negli anni.
E poi quella cultura di governo non avrebbe mai accettato che un intero territorio-paese venisse relegato in un cono d’ombra e pressoché abbandonato perché tutta l’attenzione si è voluto concentrarla nel rapporto diretto fra Palazzo Chigi e i sindaci delle più grandi città. Un errore madornale incentivato dalla capacità di fascinazione che hanno le grandi imprese interessate solo ai grandi numeri che le grandi città possono soddisfare. Ma per fare i piazzisti di qualche multinazionale informatica, o energetica, o automobilistica, non c’è bisogno di fare politica. La politica deve servire ad altro.
Sono state ricentralizzate le scelte proprio come con i governi democristiani degli anni 50; si procede per bandi settoriali con cui distribuire risorse alle città spesso con procedure tutt’altro che trasparenti. Si coltiva fra gli amministratori la cultura della vicinanza/subalternità al governo centrale invece che scommettere sulla crescita di una vera responsabilità di governo locale fondata sul principio di autonomia, che guarda ai cittadini e non al governo amico. Un disastro epocale.
Allora parliamo di contenuti, facciamolo davvero, tutto il centro sinistra insieme, sarà davvero un calvario ma almeno litigheremo su cose concrete, su idee, su valori. Da qualche parte bisogna pur ricominciare così come stanno andando le cose si commentano da sole.