Qualche pensiero nell’attesa…

Il lavoro: ci vorranno vent’anni ( ad oggi il 2035!!!) per veder scendere la disoccupazione. E in vent’anni possono accadere tante di quelle crisi più o meno congiunturali che l’orizzonte potrebbe ancora allontanarsi. Vuol dire, gli economisti progressisti l’ avevano già previsto, che senza una forte politica espansiva di investimenti innovativi, una forte redistribuzione del reddito che cerchi di chiudere la forbice della disuguaglianza, un reddito minimo che contrasti lo scivolamento nella povertà di milioni di persone, ci dovremo abituare ad una disoccupazione cronica di circa tre milioni di persone e conseguentemente ci giochiamo una intera generazione di lavoratori. Il tema dunque non è più solo redistribuire il reddito ma redistribuire il lavoro.
Proposte: Oltre a ciò che va fatto in termini di cambiamento radicale delle politiche economiche in Europa noi dobbiamo rivedere la legge Fornero; riprendere il tema della riduzione dell’orario di lavoro contrastando quello che è tornato ad essere un vero e proprio mercato del lavoro senza regole e senza orari; non demonizzare l’immigrazione visto che siamo in piena crisi demografica; approvare una legge sul reddito minimo.

Le imprese: Italcementi diventa tedesca. Indesit è diventata Americana e la litania sarebbe lunga. Si dice che problema c’è se gli stranieri investono sulle aziende italiane? Nessuno, salvo che stiamo diventando un grande supermercato delle buone occasioni mentre nessuna azienda italiana è in grado di entrare in gioco. C’è poco da essere liberali: è un impoverimento secco! Il tema dunque non è essere dalla pare di Confindustria un giorno sì e l’altro pure ma prendere coscienza della pochezza del capitalismo nostrano, che non significa avere imprenditori incapaci.
Proposte: rivedere radicalmente il sistema degli incentivi alle imprese che succhia molti miliardi senza che questi siano funzionali ad una strategia di innovazione, di aggregazione, di internazionalizzazione; riaprire il capitolo del ruolo delle imprese pubbliche sui settori strategici senza timore di essere considerati dei passatisti; avere una visione ferrea di sistema ovvero se voglio essere un paese che vince la sfida del turismo e della cultura come risposta alla crisi non posso nello stesso tempo abbassare la guardia su inquinamento, regole urbanistiche, ecc. Se voglio internazionalizzare non posso considerare i manager, l’insegnamento della lingua, la diffusione della tecnologia un lusso che mi permetto solo se posso.

Il Sud: Il problema non è se sia colpa di questo governo o meno. Bisogna smetterla di dare queste letture riduttive da “retroscena” giornalistico. Il problema è che non tutte le scelte generalmente ritenute necessarie sono in vero favorevoli per il Sud. Ad esempio se io agisco per ridurre l’IRAP per le imprese usando la fiscalità generale trasferisco i soldi dei meridionali che pagano le tasse verso il Nord dove sono collocate la maggior parte delle imprese. Così anche per gli 80 euro. Se decido di orientare i fondi a disposizione per le Università a quelle che godono di una valutazione migliore condanno le Università del Sud che non hanno gli stessi strumenti di partenza per competere con quelle del Nord e così via. Ora sappiamo che il Sud negli ultimi anni è cresciuto la metà, LA META’, di quanto sia cresciuta la Grecia. Il tema non è dunque citare nei discorsi il Mezzogiorno ma allineare le scelte secondo un nuovo parametro di priorità altrimenti il balzo fuori dalla crisi ce lo sogniamo.
Proposte: bisogna rileggere tutto il libro con gli occhi di un meridionale.

Roma: Marino sì. Marino no, Marino forse. Renzi gli vuole bene? Forse sì forse no. Allora carta vince carta perde. Ma si potrà commentare così uno dei più grandi drammi che siano emersi nella vita democratica del nostro paese dopo la nascita della Repubblica Italiana? La capitale d’Italia è sotto assedio da parte della MAFIA! Essa è arrivata a condizionare scelte della politica municipale e governativa. Questo vuol dire che mentre si intruffolava nelle istituzioni sicuramente aveva già penetrato l’economia, le imprese, qualche sigla sindacale, oltre che la gestione dei traffici criminali. Una azione in profondità coltivata in anni e anni di progressiva espansione. E’ appunto l’assedio che va assunto come dato di riferimento e il fatto che questo assedio continuerà perché la partita economica è considerevole. Allora certe cose non si capiscono o si capiscono troppo bene. Il tema non è se Marino è in grado o no perché potete metterci chi volete a fare il Sindaco ma l’assedio rimarrà perché la vittoria sulla mafia non può dipendere da un sindaco.
Proposta: Tutte le diverse componenti dello stato devono raccordarsi e non farsi prendere dalla tentazione di giocare con il cerino. Questo vuol dire che Governo, magistratura, forze dell’ordine, comune, CGIL CISL e UIL (non ho detto Confindustria perché non c’è da fidarsi di tutti) devono creare una war-room per combattere una guerra comune. Se no si perde e soprattutto si disarmano le coscienze dei cittadini.

I comuni e le regioni: 40 miliardi di tagli ai comuni e alle regioni in 8 anni. Fonte Corte dei Conti. Si vede? Certo che si vede città senza manutenzione, città più sporche, servizi sanitari con meno personale e personale amministrativo più invecchiato, abbattimento feroce degli investimenti. Io non credo che questa sia stata la retta via da seguire e mi compiaccio se qualcosa sta cambiando in termini di patto di stabilità, ma è poco troppo poco. Non voglio buttare la palla in tribuna, però m i pare che il problema sia culturale oltre che politico. Le classi dirigenti delle regioni e dei comuni hanno smesso di fare una battaglia per il cambiamento dello stato fondato su un ruolo più marcato delle autonomie. La prova provata è il nuovo titolo V previsto nella riforma costituzionale. Lo ritengo un errore strategico che produrrà seri problemi. Non è questione riducibile al ruolo di qualche sindaco. Il tema è può esistere un partito se non ha una cultura urbanistica condivisa, una idea di politiche sociali comuni, una strategia sul rapporto fra pubblico e privato a partire dalle società dei servizi ecc. E in assenza di ciò come si qualificano i nostri amministratori rispetto ai cittadini?
Proposta: Storicamente le autonomie locali non sono state solo un livello istituzionale ma un movimento propulsore di una nuova cultura di governo, di una diversa idea di Stato e di paese. Riannodiamo in ogni modo questo filo spezzato con la storia.