introduzione

La politica? E’ sempre stata, io dico per fortuna, come la nazionale di calcio: tutti sono allenatori. Dietro a questo atteggiamento diffuso c’era il bel carattere popolare della politica, la passione che ne accompagnava le discussioni, la partigianeria bonariamente settaria. Oggi la situazione, pur mantenendo alcuni di quei caratteri, si presenta dal mio punto di vista peggiorata anche per la differenza dei luoghi in cui si esprime il confronto e lo scontro politico: ieri erano le aule istituzionali, le case del popolo, i bar, le fabbriche, gli uffici, le scuole; oggi sono prevalentemente i talk show, che sono appunto show, spettacoli come lo sono il circo e il varietà, dove c’è l’obbligo di stupire e non si chiede di ragionare. Nelle aule istituzionali, nei bar, e negli altri luoghi d’incontro si discute di quello che è stato detto negli show della sera prima con esplicito crescente disgusto per le urla i modi, ma è di quello che si discute e non delle condizioni materiali del vicino di casa, della fabbrica o della città; non del disagio giovanile o della condizione degli anziani nelle case di riposo. A fianco di autentiche persistenti e resistenti passioni ed entusiasmi, l’abbandono della concretezza connessa alla conoscenza e il rifugio nella spettacolarizzazione, è via via cresciuto un sentimento di rigetto. Di vero vilipendio della politica senza che questo sia reato, anzi è un atteggiamento perorato anche da chi porta responsabilità e dovrebbe esercitare responsabilità. Essa è ridotta a  sputacchiera, l’alibi che ci solleva da ogni autocritica, da ogni assunzione di responsabilità personale, la coperta dietro cui nascondiamo ogni vergogna. Se è sempre stato difficile leggere e far leggere il valore del processo politico (perché la politica è un processo a volte anche molto complesso e contorto, non un dato, non un fatto), se è sempre stato difficile far cogliere  il beneficio che trae la società da una politica che sa rendersi autonoma dai poteri brutali dell’economia, dalla criminalità pervasiva e  corruttrice, dai sentimenti bestiali che la mitica  società civile (?) sa produrre nelle relazioni umane, oggi tutto ciò sembra essere diventato impossibile. I partiti che  spiegano  la politica non ci sono più. I singoli chiedono voti, comprano voti in senso proprio o figurato, si passa da un voto ad un altro voto e nel frattempo accadono cose, passano fenomeni che la politica intercetta, modifica, governa, ma che non spiega e non spiegando si indebolisce dell’inconsapevolezza diffusa, arretra, lascia spazio a semplificazioni, a pseudo tecnici, a poteri forti o fortissimi ma non democratici. Pensate a quanti economisti ogni giorno nel mondo fanno convegni, scrivono articoli, criticano la politica incapace , migliaia di professori per tonnellate di carta, slides, files, torte, grafici e ora pensate a quanti di questi hanno previsto la più grande crisi della storia economica del mondo moderno: nessuno, ma pontificano e sputacchiano la politica. Eppure la politica c’è ancora, agisce e, sembra incredibile, porta anche a casa dei risultati che vanno analizzati compresi per dare più forza alla politica per darle senso e significato. Molti parlano di politica, pochi fanno lezioni di politica, quasi nessuno si sforza di trarre lezioni dalla politica questo dovrebbe essere un filone di lavoro per ricominciare.

Quelli che seguono sono tre momenti importanti della politica odierna dai quali trarre, a mio parere,  qualche lezione.

 

 

Lezione dalla politica n.1

                              

Dicevano i nostri vecchi…conta fino a cento

Ce n’è di confusione sotto il cielo e, come pensava il vecchio Mao, sembra davvero che ci siano dei buoni segni. Basta guardare le cose davvero importanti e saperle leggere, almeno provarci. Io ci provo.
Cosa c’è di peggio del peggio? Un meteorite che colpisce la terra? Il collasso ambientale del pianeta ( neanche tanto lontano da venire)? In verità il peggio del peggio che si è affacciato nelle ultime settimane è stata la terza guerra mondiale. Lo ridico perché  sia chiaro: la terza guerra mondiale. Lo ha detto la Bonino, lo ha detto Papa Francesco. Io non l’ho detto ma l’ho sentito dire da chi conosce quelle aree e ci credo. Se si fosse dato corso ai propositi bellicosi di Cameron, Obama e Hollande ( due di sinistra uno di destra povero me ) nei confronti della Siria si sarebbe accesa la miccia della terza guerra mondiale perché l’Iran non avrebbe potuto esimersi dall’intervenire e l’Arabia Saudita sarebbe esplosa ( con tutti gli interessi occidentali connessi). Tutti appassionatamente e sconsideratamente dentro al conflitto più pericoloso che ribolle sotto il culo dell’umanità: lo scontro finale fra Sciiti e Sunniti.
Io penso che sia stata una vicenda piuttosto emblematica e ci dice un sacco di cose. La prima: l’importanza dell’ autorità morale del Papa, di un Papa che non solo in continuità con i suoi predecessori sa intervenire con chiarezza quando si sente crescere il pericolo della guerra ma che più dei suoi processori lo fa con una credibilità straordinaria che sta ancora crescendo non sulla spinta delle parole ma delle scelte concrete che compie. Se il Papa avesse ragionato sulla scorta di calcoli geopolitici avrebbe forse evitato di scrivere a Putin in occasione del G20, invece non c’ha pensato un attimo e li ha spiazzato Obama e tanti altri leaders occidentali.
La seconda: l’importanza di un mondo con autorità globali policentriche. Lo dico con altre parole: l’obbligo per tutti i potenti del mondo di non sentirsi onnipotenti. L’obbligo al compromesso, all’intesa, al primato della politica e della diplomazia.
La terza, la dedico a tutti i fan del decisionismo, dell’ uomo solo al comando, a tutti quelli che non sanno resistere all’idea che ci vuole sempre uno con gli attributi che decide per tutti, che non apprezzano le lungaggini della discussione nelle assemblee parlamentari, che non apprezzano i poteri di interdizione o meglio i contrappesi democratici al potere del capo. Se Cameron non fosse stato clamorosamente bocciato dal suo Parlamento nei suoi propositi di guerra ( non accadeva dal 1700) , se Obama non avesse capito che se si presentava al suo Parlamento per farsi autorizzare ad intervenire , anche solo con l’aviazione per quegli interventi chirurgici che finiscono sempre con le bombe sui bambini, non avrebbe avuto la maggioranza, se Hollande non avesse capito che…nun c’è prova che te fulmino!! Ecco se non avessimo avuto a che fare con tre paesi dove la democrazia non è un optional noi saremmo precipitati nella guerra.
E ora guardate i frutti della pace attiva: la Siria non ha più armi chimiche e non è più in grado di produrne. Con l’Iran si è fatto uno storico accordo sul nucleare. Vi pare poco? No è tantissimo. Mi piace che il governo del mio paese non si sia accodato ai propositi di questa insana avventura come invece fece con l’intervento in Iraq. Sarà forse perché  c’è Letta al governo e non Berlusconi?…pausa di riflessione. Viva la politica. Viva la pace.

Lezione dalla politica n.2                                              

 

Chi ha ucciso Laura Palmer

 

Chi ha ucciso Laura Palmer? Penso che ancora tanti ricordino il tormentone dei primi anni ’90  conseguente al grande  successo della serie TV  “ i segreti di Twin Peaks ” . Ad un certo punto spuntò una maglietta: “me frega una sega di chi ha ucciso Laura Palmer”!!!

Mi è tornata in mente questo episodio in occasione del tormentone sulla decadenza di Silvio Berlusconi da senatore.

Questa secondo me avrebbe dovuto essere la reazione corale del popolo italiano. Un popolo di fatto sequestrato per un ventennio, impossibilitato a poter vedere affrontati i suoi problemi e vederseli aggravare giorno per giorno fino a diventare drammatici, costretto a seguire le squallide vicende personali di un arricchito signore. Eppure no non è stato così. I sondaggi oggi danno a Forza Italia un 3% in più e che sia un effetto emotivo temporaneo non cambia nulla ai fini del mio discorso, accade che arrivino telefonate critiche da signore per bene, che in un autobus a Roma la mattina del 27 ci sia stata una corale e veemente  protesta verso due del PD che commentavano  fra loro la specialità di quel giorno. Tutto questo per un condannato per un crimine odioso. Non mi chiedo qui perché accade, che tipo di paese e di popolo si è venuto formando sotto i nostri occhi, che rapporto si è instaurato con il principio di legalità e quanto sia diffuso il sentimento popolare dell’illegalità tollerata, le responsabilità nostre ecc. Mi interessa invece fotografare le reazioni per capire quanto sia rilevante il merito che  ha la politica con la ”P” nell’aver conseguito in queste condizioni un risultato che non è la decadenza di Berlusconi ma il rispetto di una legge della Repubblica che non consente di stare in Parlamento ad un  condannato  e di una sentenza definitiva della magistratura.

Anche fra le nostre file c’è chi immediatamente però aggiunge: adesso però dobbiamo sconfiggerlo politicamente, nelle urne. Dicendo così si fanno tre errori politici gravi: il primo è che si avvalora la tesi berlusconiana del complotto della “magistratura rossa” e cioè che questa non avrebbe agito contro un reato commesso ma contro la persona Berlusconi e non è vero; il secondo è di considerare politico solo il passaggio elettorale come se la politica esistesse solo nel voto e vinci o perdi solo se vinci o perdi le elezioni che è una distorsione drammatica dell’idea di politica e di democrazia; il terzo è occultare il grande risultato tutto politico conseguito dal presidente del consiglio del PD Enrico Letta che ha tenuto ben saldo il timone non consentendo mai che si mescolasse la sorte del suo governo con quello di Berlusconi,  dal segretario nazionale del PD Guglielmo Epifani che azzeccò una dichiarazione perfetta immediatamente dopo la sentenza della Cassazione e ha tenuto saldamente il punto, dei nostri gruppi parlamentari  in particolare di quello del Senato dove la vicenda si è svolta nel rispetto rigoroso di tutte le procedure durate quattro mesi, ma anche di quello della Camera in particolare nell’imminenza del voto di fiducia del 2 ottobre.

Se la vicenda fosse stata solo la conseguenza di una azione della magistratura senza intervento della politica noi ci saremmo trovati, forse qualcuno anche fra noi l’avrebbe voluto, il 2 ottobre a prendere atto della fine della maggioranza delle larghe intese e saremmo precipitati nel voto anticipato a novembre in barba ai problemi del paese con un condannato a guidare il centro destra che avrebbe chiesto l’assoluzione dal popolo. La sollevazione all’unisono di sindacati, imprenditori ,Chiesa, cittadini rimane una pagina importantissima della nostra vita recente.

Invece la vicenda è frutto di una bella pagina di politica operosa. Quella che nelle condizioni date tiene fermi i principi di fondo, in questo caso particolarmente importanti, e poi agisce nel modificare lo stato di cose presenti facendo accordi, facendo ingoiare rospi ( e noi ne sappiamo qualcosa), manifestando una forte capacità di tenuta, rischiando, facendo prevalere un disegno, un processo, che in questo caso riguarda esplicitamente la natura del centro destra italiano ma che avrà ripercussioni anche sul centro sinistra. Oggi Berlusconi il populista è all’opposizione assieme a Grillo il populista. Il Governo c’è e credibilmente gestirà il semestre europeo dando un impulso alle politiche della crescita. Risultati importanti. Una bella lezione che ci viene dalla politica, basta saperla leggere.

 

                                                                 

Lezione dalla politica n.3

 

  Tu vuò fa l’americano

                                                        A proposito di un articolo di Luigi Luminati sul Resto del Carlino

 

Caro direttore ho molto apprezzato il suo fondo nel carlino Pesaro di domenica 1 dicembre. E’ vero nel nostro sistema politico e nel PD in particolare si è innescata una rincorsa alla “americanizzazione” della politica che preoccupa tantissimo per la superficialità provinciale con la quale viene perseguita e per l’assoluta inconsapevolezza di  farci entrare in un vortice in fondo al quale non c’è maggiore  democrazia e non c’è maggiore qualità della politica e delle sue decisioni.

Una americanizzazione senza America. Senza i contrappesi democratici che in quel paese ci sono alla esasperata rincorsa alla personalizzazione della politica. Senza il rigore per noi a volte moralista che è preteso in quel paese. Senza un pluralismo e una indipendenza della informazione che è un must degli USA. Un  cedimento all’immagine senza sostanza, alla illusione che la politica sia il voto e solo il voto con la conseguente idea che  la politica la fa chi vince e chi perde pensa solo a vincere la volta prossima  e così sia chi vince che chi perde in attesa della rivincita finisce preda del più squallido dei populismi e della cronica incapacità di decidere alcunché di concreto.

Cosa lascia dietro di se questa deriva? Un vuoto angosciante per chi ha a cuore le sorti della comunità e per quelli che se ne fregano una sorta di legittimazione contagiosa.

Per il Comune di Roma e per le regionali in Basilicata il PD e il centro sinistra hanno  dato luogo a due competizioni alle primarie che hanno visto una altissima partecipazione. Qual è stato il risultato? Che sia nell’uno che nell’altro caso alle elezioni vere è andato a votare meno del 50% degli aventi diritto. Eppure c’erano tutti gli ingredienti che oggi si ritengono fondamentali: l’elezione diretta del sindaco e del presidente della regione da un lato, le preferenze per la scelta dei consiglieri, la selezione fatta appunto con primarie apertissime e agguerritissime. Risultato: il vuoto. Lo stesso vuoto che mi trasmette il fatto che neppure la proposta di fondere due comuni, cioè due storie, due amministrazioni, due rivalità come quelle fra Colbordolo e S.Angelo in Lizzola riesce  a scuotere gli elettori di quei due comuni con forte insediamento popolare e di sinistra: ha votato il 28%.

Ci si può per favore fermare a pensare cosa manca per riempire quel vuoto? La risposta è semplice : la politica. Ovvero quell’esercizio quotidiano, insisto quotidiano, che serve a connettere la vita delle persone alle scelte dei governanti e al quale concorrono senza dover tutto trasformare in un votificio  i soggetti politici siano essi di opposizione o di maggioranza, i soggetti sociali, il dialogo e lo scontro, le intese, i compromessi, le lotte e gli accordi: la politica appunto.