Quando qualche anno fa visitai Lampedusa, vi erano molti segni di quella disperata migrazione che spinge centinaia di migliaia di affamati e impauriti bambini, donne e uomini dell’Africa a mettersi nelle mani di aguzzini senza scrupoli. Barconi spiaggiati, frantumati sugli scogli di incantevoli baie, ammassati nel campo di calcio (?) dove un volenteroso Claudio Baglioni organizza il suo benaugurante  O’Scià: “mio respiro” oppure “fiato mio”.

Li, a pochi passi dall’aeroporto, si erge la grande “porta di Lampedusa, porta d’Europa” che l’artista Mimmo Palladino ha innalzato per fare memoria di chi non c’è l’ha fatta, di chi è rimasto in mezzo al mare, in pancia ai pesci, a loro volta in pancia nostra in una sorta di cannibalismo che ci ricorda il Conte Ugolino di Dante che mangia suo figlio, mangia se stesso, mangia , forse la colpa più grave, il futuro. Anche noi divoriamo il futuro. Una vecchia, grassa, stanca Europa che si mangia il futuro rappresentato da giovani migranti che come in tutte le migrazioni storiche, a prezzo di costi immani hanno finito per portare nelle terre del mondo la loro voglia di vivere, di crescere, di prosperare. Noi non risolveremo mai il problema se non consentiremo che quella voglia di futuro si esprima nelle loro terre di origine, ma anche se non sapremo vedere in quegli occhi febbricitanti di paura l’energia del nostro futuro.

Vi è un’altra opera di arte contemporanea che in queste ore mi si è fissata nella mente: la “Venere degli stracci” di Michelangelo Pistoletto. Un’opera del 1967. Una bellissima e candida Venere callipigia volge le sue sensuali spalle al pubblico davanti ad una montagna di stracci, proprio come quelli ammassati sulla battigia e sui moli di Lampedusa e degli altri approdi della disperazione. Gli stracci simboleggiano la società contemporanea, la società dello spreco, del consumo dissennato, dello scarto. L’arte, ovvero la cultura, il pensiero, la saggezza e la creatività, volge le spalle ad un mondo dove tutto può essere scartato, anche la vita umana ridotta a stracci. Venere dea della bellezza, dell’amore, della primavera, della vegetazione rigogliosa, della bellezza della natura, dei fiori, si rifiuta di guardarci. Già negli affreschi di Pompei, e poi Botticelli, Tiziano e tanti altri hanno rappresentato Venere che sorge dalle acque. Botticelli la fa nascere dalla spuma dell’acqua del mare come l’anima dei cristiani nasce dall’acqua salata del battesimo. L’acqua, l’acqua salata del nostro mare, il nostro mare! Venere sorge da lì ma non ci guarda, ci volta le spalle e piange davanti agli stracci.