Non sopporto la retorica e la sopporto ancora meno se non ha  un seppur piccolo riscontro oggettivo nei fatti. Mi riferisco a chi evoca, come conseguenza del pacchetto di riforme concordato fra Renzi e Berlusconi e poi proposto agli altri partiti, la nascita di una fantomatica Terza Repubblica.

Sostengo non da oggi che in verità in seguito al collasso della prima repubblica, abbiamo assistito solo al tentativo di nascita di una seconda repubblica: federale, appoggiata ad  un sistema politico capace di garantire l’alternanza e il superamento della democrazia bloccata dal fattore” K “, semplificato nella sua articolazione politica e amministrativa, con una rappresentanza istituzionale bipolare e con leggi elettorali tendenzialmente maggioritarie.

In verità quell’ idea rimase  solo abbozzata, a mio parere perché   le componenti peggiori della prima repubblica si attrezzarono ben presto per impedirne il pieno sviluppo. Mi riferisco alle forze a volte inquietanti  dei grandi poteri centrali nazionali, legati ai salotti buoni della industria e della finanza, con solidi legami oltre Tevere. Forze  che abbiamo visto all’opera in grande spolvero nel  ventennio scorso dietro al fenomeno Berlusconi.  Le stesse che ritroviamo poi nelle cricche degli appalti,  nella gestione delle nomine, nel grande sottobosco delle aziende di stato, nel sistema di controllo della informazione e nel “dossieraggio”  come sistema di lotta politica. Il sistema che ci ha dato i Mastrapasqua, i Balducci ecc.

Il potere vero della prima repubblica sedimentatosi in mezzo secolo di democrazia bloccata lungi dal farsi da parte con la fine dei personaggi che ne rappresentavano il volto politico, si organizzò ordinatamente dietro al potere mediatico di Berlusconi, uno dei figli più illustri della prima repubblica, e lo sostenne in questa operazione illusionistica tipica dell’Italia: cambiare tutto perché nulla cambi.

Fece saltare qualsiasi ipotesi di reale riforma organica della repubblica,( la più seria rimane quella fissata nei documenti della Bicamerale D’Alema), tenne aperto uno scontro mai visto prima con il potere giudiziario, boicottò i tentativi di spostamento verso il basso delle funzioni amministrative proposto dalle Bassanini, si preoccupò di occupare il potere mediatico, quello economico e finanziario da figure tutte riconducibili a circuiti piuttosto stretti e poco trasparenti.

Il nuovo potere democratico un po naive, che  dai comuni e dalle nuove regioni scuoteva il sistema, fu presto messo su un binario morto anche per  il suo errore capitale: porsi come alternativa del sistema politico fondato su grandi partiti politici invece che diventare lievito di un loro profondo rinnovamento. Di qui il fiorire di piccoli poteri locali, di partiti sempre più personali, di una personalizzazione esasperata della politica.

Fu abbastanza facile per  il  potere centrale  riorganizzarsi, cooptare  il folclore leghista dentro ad un disegno sostanzialmente neo centralista e conservatore ; dare vita a campagne demolitorie che nell’ordine hanno colpito i consigli di circoscrizione, le comunità montane, le province e ora aggrediscono le regioni. Certo che tutti questi c’hanno messo del loro: i consiglieri di quartiere delle grandi città con stipendio professinale, le comunità montane in riva al mare, la moltiplicazione delle province invece che una loro riorganizzazione drastica riduzione, le spese dei consigli regionali e le sedi di rappresentanza all’estero delle regioni, solo per fare alcuni tragici esempi.

Oggi dopo vent’anni la realtà fondante di quella ipotesi di seconda repubblica  è così stravolta che è difficile riconoscerne i connotati: comuni e regioni sono associati ad una idea di cattiva politica, di spreco del denaro, di proliferazione di aziende strumentali finalizzate alla moltiplicazione delle poltrone; si torna a riproporre con la malafede del risparmio e con la lucida consapevolezza della restaurazione la centralizzazione delle decisioni come antidoto alla burocratizzazione.

Ora le proposte che sento fare  da Renzi  a me  sembrano, ripeto sembrano,  voler rimettere in moto quel processo che ebbe inizio nei primi anni novanta: stessa enfasi sui poteri locali, stessa enfasi sulla semplificazione della rappresentanza, sul bipolarismo, sul sistema maggioritario, sulla sburocratizzazione, sul rapporto pubblico privato, sulle regole per il lavoro, ecc. : assomiglia  più al tentativo di rimettere in moto il progetto di una seconda repubblica mai nata che l’idea di una terza repubblica.

Pensare una terza repubblica significherebbe fare i conti con il ventennio berlusconiano e su ciò che è accaduto nel frattempo alla politica, alla democrazia,  alle istituzioni nazionali e locali, all’Europa, all’economia, alla finanza, al sistema di protezione sociale, al lavoro. Questa consapevolezza io non l’avverto e quindi avverto il rischio che più che una discontinuità con il berlusconismo possiamo trovarci, consapevolmente o no , dentro ad un continuismo con il ventennio, fatto da persone certamente diverse ma che hanno alle spalle gli stessi poteri, gli stessi interessi e usano gli stessi metodi  e che temo produrranno gli stessi risultati.

Molte delle proposte che vengono fatte come il superamento del Senato in una Camera delle regioni e delle autonomie sono davvero buone anche se  hanno più di vent’anni.  Ma  non è questo il punto, anzì meglio tardi che mai! Il punto è: si tratta di  un disegno realistico o è tardivo? Di una coperta stesa sopra una realtà completamente diversa tale da lasciare le cose come stanno e addirittura peggiorarle o è una cosa davvero nuova che porta a sintesi politica i grandi cambiamenti che si sono verificati?  Insomma è un vestito nuovo o una toppa messa sopra un buco enorme dentro al quale sono scivolati, democrazia, qualità della politica, diritti civili, sociali e del lavoro, redistribuzione del reddito, libertà e uguaglianza?

Temo che sia una toppa, ma non voglio far diventare giudizi quelli che sono timori.

Per farci una idea dobbiamo dare un’ occhiata a questo pacchetto di riforme che Renzi comunque tiene fortemente connesso ad altre come: la cancellazione del finanziamento pubblico ai partiti, la cancella zione delle province , il jobs act.

Bisogna darsi dei parametri di valutazione ne propongo tre :

1 Sono proposte che rafforzano la democrazia come l’intende la nostra costituzione in termini di rappresentanza, equilibrio fra i poteri e  governabilità ? Se così fosse la riflessione e la proposta dovrebbe tenere conto anche in termini di legge elettorale della necessità di rilanciare il parlamentarismo. Aver pensato che in Italia si potesse lavorare ossificando o addirittura aggirando la dialettica parlamentare è stato un errore. Si dirà il superamento del bicameralismo perfetto va in questa direzione: giusto. In cantiere c’è un lavoro sui regolamenti parlamentari che va nella giusta direzione: benissimo. Ma lo sente anche un bambino che in tutta la discussione c’è un fastidio non detto per il Parlamento come luogo del confronto e della sintesi della complessità. Si respira come con Berlusconi l’idea dell’uomo solo al comando, del  “ghé pensi  mì ” e così non si va proprio da nessuna parte, anzi si indeboliscono gli anticorpi alla deriva populista e para fascista cui stiamo assistendo.

2 Sono proposte che possono rivitalizzare il sistema dei partiti come nuovo motore della qualità della politica? Ovvero si riconosce davvero che l’aver lavorato in questo ventennio alla sistematica demolizione dei partiti sostituendoli con la personalizzazione della politica, con i comitati elettorali e d’affari ha contribuito alla crisi del sistema Italia invece che risolverla? Non mi pare. Anzi l’enfasi che si mette sul taglio delle risorse alla politica spingendo verso l’eutanasia dei partiti. Questo  è il miglior regalo che si può fare al grillismo e al berlusconismo.

 

3  Produce un avvicinamento del potere  verso i cittadini attraverso un sistema di semplificazione istituzionale e di razionalizzazione della pubblica amministrazione ? Direi di no, perché questo vorrebbe dire prendere di petto i poteri veri smontarli e ricollocarli sul territorio. Mi riferisco agli uffici periferici dello stato, alle aziende che ogni ministero si è premurato di creare per fare gestione diretta, mi riferisco al conflitto d’interessi, mi riferisco alle procedure per le nomine. Questo produrrebbe il cambiamento concreto, ma su questo il silenzio è tombale e c’è una sola ragione perchè sia così: impossessarsi del sistema di potere ma  non cambiarlo e non è esattamente la stessa cosa.