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Ex tribunale, Vecchio Palas di via dei Partigiani, Bocciodromo di via dell’acquedotto, ma probabilmente l’elenco potrebbe essere più lungo.

Sono le opere più importanti che l’amministrazione aveva più volte annunciato e che sono ancora lì a riempire il gran libro dei desiderata.

Più di tutti per me è triste la vicenda del vecchio Palas, chiuso da 14 anni se non erro. Quante volte ho sentito nelle conferenze di presentazione del Rossini Opera Festival i giornalisti chiedere notizie sulla riapertura di quel luogo strategico per fare del Festival davvero un momento singolare di coinvolgimento della città, fra mare e centro storico. Bagnanti e melomani che si mescolano ai pesaresi a passeggio, una cifra originale del nostro festival.

Non è un problema di soldi evidentemente visto che di milioni di euro per investimenti questa amministrazione ne ha avuti a disposizione in modo incomparabilmente superiore rispetto a quelle immediatamente precedenti. Di questa cosa ci si è più volte  vantati anche giustamente negli incontri al Teatro Rossini ( ???) con l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Allora perché? Le norme che regolano gli appalti? Francamente non credo, anche se il Codice degli Appalti partorito dal ministero di Del Rio si è rivelato un vero disastro paralizzando le procedure, qui ci troviamo di fronte a cantieri in cui l’assegnazione è giunta a termine. Poi la paralisi.

Allora suggerirei un altra chiave di lettura di ciò che sta accadendo. Forse non l’unica ma non la meno importante.

Negli ultimi 15 anni le amministrazioni di Pesaro hanno partecipato ad un gioco tipico della destra, dal quale dovevano invece stare alla larga 1000 miglia.

Il gioco della destrutturazione della struttura tecnica, professionale e amministrativa dell’ente. Il gioco a vantarsi dei tagli fati al numero dei dirigenti. Il gioco a mettere alla berlina gli stipendi e i premi dei dirigenti e dei funzionari.

Un gioco perverso che ha impoverito la professionalità dell’ente e produce errori, paralisi procedurali, incompiute.

Non è un caso limitato a Pesaro e alle sole tre opere citate. No è proprio un cedimento culturale alla destra che oggi ad esempio rende praticamente impossibile per tante amministrazioni anche concorrere ad utilizzare tutti i finanziamenti nazionali che le varie scelte governative mettono a disposizione, per non dire dei finanziamenti europei.

Chi guida una amministrazione pubblica locale, può dare la responsabilità ad altri e ad altro su tante questioni, ma non sulla gestione di servizi e opere che rientrano nella sua stretta competenza politica e tecnica.    E non giova che sindaco e assessori giochino a fare i tecnici. Anzi questo aumenta difficoltà a difficoltà perché il continuo cambio di priorità che i politici producono inseguendo un effimero consenso, mette la struttura professionale in una condizione di impossibilità a fare bene il proprio lavoro.

Fermiamoci a riflettere dunque su queste brutte notizie e proviamo ad impostare una svolta anche nella valorizzazione e nel rafforzamento professionale del Comune. Tema prioritario più di tanti altri per gli amministratori che verranno.

 

 

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Una persona che stimo mi ha detto a proposito della situazione politica del paese: “è impossibile che la situazione volga al meglio partendo dall’alto. Se non riparte una rigenerazione civile e morale dal basso, dalle comunità, dalle città le cose possono solo peggiorare”. Cosa intende dire. Intende dire che la sovrastruttura del paese non solo politica è  talmente impregnata dalla necessità di sopravvivere a se stessa che continuerà a lucrare sui difetti del paese, ad alimentare le sue perversioni, i suoi lati peggiori. Come dargli torto è sufficiente seguire il vuoto inquietante di buona parte della campagna elettorale in corso.

Ma guardando la struttura del paese, come la si legge dalle città , si percepisce anche come è difficile un processo di rigenerazione dal basso. Umbria, Calabria, Lomabardia, Legnano. Quanto è  arrivata infondo la degenerazione della politica? Siamo di fronte ad una nuova Tangentopoli? Come è possibile razionalmente riaccendere LA FIDUCIA senza della quale nessuna rigenerazione è possibile? Ci si salva la coscienza ritirando fuori sui social da un lato l’intervista di Enrico Berlinguer a Eugenio Scalfari del 1981,  oppure il discorso di Bettino Craxi alla Camera. Due ricordi apparentemente contrapposti ma che invece convergono sullo stesso concetto:   siamo ancora lì, non è  cambiato niente, cambierà mai niente?

Le risposte non le troviamo guardando indietro, ma studiando attentamente il presente e dicendo chiaramente cosa vediamo di negativo e pericoloso nel presente. Parlandone apertamente senza opportunismi o calcoli. Cominciando a correggere qui e ora ciò che è correggibile.

Ho molto apprezzato un articolo sul Corriere Adriatico dell’avvocato Orciani, con il quale condivido con piacere l’adesione alla associazione per l’attuazione dell’art.49 della Costituzione. Egli individua nella proliferazione delle liste a sostegno dei candidati sindaco degli schieramenti maggiori a Pesaro e a Fano , dei pericolosi difetti che possono preludere ad altrettante forme illegali di relazione tra la politica e i cittadini.

Queste liste, che nascono dalla  paura del ballottaggio finiscono per spingere i proponenti e i candidati sindaco in primis ad  abbandonare la funzione principale della politica e del governo, cioè  la sintesi rispetto alla frammentazione degli interessi, la proposta per il futuro  piuttosto che  la rappresentanza dell’interesse immediato. Esse sono esposte dice Orciani alla proliferazione del clientelismo e del voto di scambio.

Se guardate bene la “nuova tangentopoli” ha le proprie radici proprio lì. Non si tratta più come un tempo di grandi operazioni di corruzione come lo scandalo Lockheed  oppure la madre di tutte le tangenti, i 150 miliardi EniMont. Le grandi multinazionali hanno imparato da tempo a prescindere dalla politica grazie alla globalizzazione dentro la quale possono muoversi a piacimento  e anche per  le procedure intervenute nella regolamentazione del mercato che  rendono più difficile quel tipo di operazioni. Semmai quei metodi si stanno applicando in paesi africani, nuova terra di conquista di questi grandi interessi.

No. Oggi la corruzione è più minuta, locale, diffusa. Soldi per la campagna elettorale da incassare e spendere possibilmente prima dell’avvio della campagna elettorale vera e propria poiché questa è sottoposta a rigidi controlli; voto clientelare; voto di scambio. Questi sono i pilastri.

Si può spezzare questa catena? Certamente se si ha a cuore la democrazia bisogna tentare. Innanzitutto non premiando con il proprio voto queste liste fatte di accumuli di persone, senza programmi, valori, storia.   In secondo luogo chiedendo a ciò che rimane dei partiti di smetterla con queste pratiche dannose per la politica. Si scavano la fossa da soli. Pensano che salvando il loro capitano salvano se stessi, invece i partiti così perpetuano la loro crisi fino ad estinguersi, a perdere di senso. Poi riprendendo seriamente il tema dei  partiti in una società attraversata da cambiamenti radicali.  loro funzione costituzionale, le loro regole interne, il loro sistema trasparente di finanziamento. Hic Rhodus hic salta. Altra strada non C’è.