Nella vita politica se vuoi che qualcosa accada devi sempre trovare qualcuno che la condivida. Succede con l’atto rivoluzionario, ovvero la rottura di un potere per sostituirlo con un altro, per il quale la condivisione deve essere ferrea perché di solito è una minoranza a compierlo. Succede ancora di più in un regime parlamentare/democratico altrimenti Gramsci non si sarebbe arrovellato il cervello attorno al concetto di egemonia, e non ci sarebbero volumi sulle varie strategie delle alleanze fino alle convergenze parallele di Aldo Moro. Il consenso, ahimè, si costruisce a partire da una visione oppure si compra o meglio se non vogliamo indulgere in immagini troppo crude e distruttive si contratta. E’ una procedura complessa fatta di ragionamenti alti, i famosi contenuti, e alcuni meno, i ruoli, ( ultimamente si passa direttamente alla fase due) tutto fa parte del tutto. Ma c’è un tipo di consenso di supporto di sostegno chiamatelo come vi pare, che non sei obbligato a ricercare, anzi se lo cerchi qualcuno dei tuoi compagni di viaggio può pensare che fai il doppio gioco, che stai cedendo ai critici, che non sei affidabile; però tu ci tieni, lo cerchi. Non ti è indispensabile per poter procedere perché ne hai a sufficienza, ma è importante perché avverti che per te è di valore. Magari non condividi tutto, anzi avresti molto da ridire in particolare nella messa a terra di certe aspirazioni che i tuoi interlocutori sfuggenti esprimono, magari sai che averci a che fare tutti i giorni sarebbe una bella gatta da pelare, ma vale per te e per il progetto che hai in testa. Vale perché avverti il disinteresse personale così raro nella vita e nella vita politica , vale perché i valori che esprimono sono i tuoi o comunque senti che da un incontro ne può venir fuori qualcosa di buono. Fin dal 1990, non ero ancora sindaco ma segretario del partito di maggioranza appena entrato in Comune, c’è stato un gruppo rappresentato da Gambini padre, Milazzo, Regnoli, e altri di assoluta qualità e cocciutaggine: Rosso e Verde. Io li volevo in maggioranza per segnare uno stacco. Niente da fare ne allora ne poi. Però secondo me dialogando e scontrandoci abbiamo fatto cose buone senza dircelo, senza mai arrivare ad una formale collaborazione e senza neppure poterne godere assieme. Dalla mia parte politica c’era verso di loro un pregiudizio, che poi era reciproco: la vicenda della CMP aveva scavato un fossato di sospetto fra Rosso e Verde e il PCI. Io invece ci tenevo, loro lo sapevano e spostavano sempre più avanti il limite per sfuggire fino a dove io non potevo seguirli e probabilmente non sarebbe stato nemmeno giusto farlo. Poi quella paura di perdere la “purezza” di contaminarsi col potere, che rabbia! Ce ne siamo dette, però il risultato è stato migliore di quanto sarebbe stato se non l’avessimo fatto se ci fossimo ignorati. Io li sento parte della mia esperienza in Comune. Alberto fra loro un po perchè era sordo e gli veniva naturale alzare la voce un po perchè era testardo era quello che dal dialogo facilmente passava all’irrigidimento, allo scontro.
Per questo quando ormai lontano da Pesaro per la maggior parte del tempo, e praticamente fuori dalla vita politica attiva mi è capitato sempre più frequentemente di avvertire il consenso di Alberto alle poche cose che dicevo sulla città, mi ha fatto piacere. Molto.
Mentre scrivo mi rendo conto di non avere a mente momenti che riguardano Alberto diversi da quelli legati al lavoro in Comune e alla politica. Solo uno: una volta mi capitò di stare insieme a pranzo in quel luogo dove sono sempre stato bene anche quando stavo male che è la Comunità di via del Seminario e lo vidi così rilassato e felice ricordo di essermi detto ma guarda tu che qualcosa di affine l’abbiamo. Forse più di qualcosa ne sono ancora convinto.