“Un stato che sia disposto a pensare in grande e capace di farlo”. Questa idea di Marianna Mazzucato io la condivido. Non meno stato, dunque, ma uno stato innovatore, propulsore di innovazione per creare le condizioni che consentano anche al resto del sistema, imprese comprese, di esserlo. Se questo è quello che serve pensiamo, solo per un attimo, ai danni fatti dal pensiero unico che si è espresso sulla pubblica amministrazione in questo ultimo ventennio. Con cosa le fa le cose in grande uno stato se non con una buona amministrazione?! In assenza lo stato si limita ad esortare, auspicare, declamare, tweettare, postare, tutte cose che non si mangiano e non sfamano il bisogno del paese di ripartire. I concetti che abbiamo visto applicare sono: tagliare, possibilmente in modo lineare perché è più facile anche se poi risulta essere inefficace e dannoso;  bloccare assunzioni e  tourn over e chi se ne importa se poi ci ritroviamo con l’amministrazione più vecchia e meno tecnologica  d’Europa; aggirare, derogare, demolire in un vortice ossessivo capace di spalancare le porte alla corruzione più alta d’Europa; demolire professionalità, eliminare qualsiasi investimento sulla risorsa più importante: il capitale umano. Quanti facili argomenti questi falsi innovatori pseudo liberali hanno portato ai conservatori che albergano nelle amministrazioni italiana e in tutte le amministrazioni del mondo ( Max Weber insegna). Tanto che alla fin fine hanno avuto  buon gioco i paladini della difesa dell’esistente, delle caste chiuse, delle baronie, e l’amministrazione  oggi avrà anche perso dipendenti, ma non costa meno e soprattutto il rapporto spesa servizi resi è peggiorato,  lasciando nella frustrazione i tantissimi che fanno il loro lavoro seriamente e chiedono solo di farlo meglio e i veri riformisti che avevano intravisto negli anni novanta del secolo scorso una qualche speranza di cambiamento concreto.

Sarà dunque per disperazione o per innato ottimismo della volontà che ho seguito con la passione de tifoso lo sforzo fato dal ministro Madia e dal Governo di rimettere la questione sul binario giusto presentando due documenti che vanno letti e seguiti insieme se si vuol cercare di capire qualcosa: il decreto legge 90 convertito definitivamente in legge prima della pausa feriale e il disegno di legge delega licenziato dal Governo lo scorso 10 luglio e che comincerà il suo iter parlamentare a settembre.

Suggerisco qui di seguito una breve e schematica chiave di lettura fondata sui dati che a mio parere possono decretare l’auspicato successo di questo generoso tentativo riformatore.

1 i tempi: solo un incosciente avrebbe continuato nella cattiva strada di mettere le mani sulla amministrazione propagandando miracolistici effetti immediati. Non funziona così ormai lo abbiamo visto, a meno che in modo luciferino non si punti ad affermare l’idea che cambiare è semplicemente impossibile. Allora trovo sano,e saluto la cosa con soddisfazione, che ci  si dia un orizzonte di mille giorni per il dispiegarsi dell’azione riformatrice del Governo: sì mille giorni possono bastare anche per produrre irreversibili cambiamenti migliorativi nella organizzazione delle pubbliche amministrazioni. Se non mi credete provate a chiedere in giro su quanti decreti attuativi di leggi gia approvate di precedenti governi asettano ancora di essere scritti, e se vi risulta diicile coprendere il perche’ provate ad entrare nel meccanismo formale della costruzione del “concerto fra due o più ministeri” , “dell’ intesa”, del acquisito il parere di”. Tutte procedure piene di conflitti, paludi, trabocchetti dietro cui si nascondono interessi, privilegi, potere.

2 la centralità della presidenza del consiglio: eccoci dunque alla seconda chiave di lettura; nel disegno di legge delega si afferma una forte centralità della presidenza del consiglio nella riorganizzazione delle amministrazioni centrali. Si tratta di un punto chiave. Superare la logica delle canne d’organo, affermare che non ci sono i ministeri che vivono vite separate, conflittuali e competitive fra loro ma esiste il governo come soggetto unitario è davvero determinate. Difficilissimo da farsi un salto cosi,  anche perché noi abbiamo una delle peggiori strutture di presidenza del consiglio frutto del sedimentarsi dei protetti di tanti governi che si sono succeduti, elefantiaca e improduttiva. Però si vede che dietro a questa proposta  c’è una esperienza di amministrazione vissuta. Faccio notare che non si tratta di una pulsione autoritaria, in ogni paese serio funziona cosi: se Downing Street alza il telefono e chiede dei dati amministrativi al ministero della istruzione inglese, il giorno dopo li ha sulla scrivania, in  Italia questo è sempre stato impossibile. Pensate un attimo a come si può governare una macchina burocratica in assenza di questo dato elementare.

3 la chiarezza nella definizione dei campi di applicazione delle riforme: se io dico  questa misura si applica alla pubblica amministrazione si deve sapere che non accade proprio niente. Quale amministrazione? Centrale, regionale, locale, giustizia, istruzione, sicurezza. Tante amministrazioni diverse e nella interpretazione delle leggi questa pluralità di amministrazioni significa possibilità di aggirare, derogare, schivare. Ecco dunque che non è banale che si proceda con un articolo della legge delega a “definire la pubblica amministrazione” in modo tale che ci sia un glossario condiviso e chiaro nella scrittura delle norme. Ancor meno banale è che si sia  proceduto  prima di avviare la conversione del decreto 90 ad una intesa con le regioni e le autonomie locali, e infine è rilevante che nella riforma nel suo complesso si tenti di ricondurre in un unico esame tutto ciò che è uscito dai confini amministrativi attraverso società partecipate dal pubblico, agenzie, autorità indipendenti, sia che operino a livello territoriale che nazionale. Perché fra un taglio e un altro l’amministrazione è cambiata, ha esternalizzato servizi e funzioni non sempre in modo saggio. Invece di baloccarsi sulla elettività del senato  bisognava prestare attenzione alla funzione del nuovo senato rispetto a queste , ed è singolare proprio per questo che il dibattito sul nuovo testo del titolo V, per me troppo neo centralista, sia passato sotto traccia.

4 l’allineamento astrale: fatemi usare questa metafora. Per produrre una buona riforma della amministrazione è importantissimo che il pianeta riforma istituzionale sia allineato con il pianeta riforma della amministrazione e questa a sua volta con il pianeta spending review. La  prima muove il cosmo, pensate alle province, al nuovo titolo V, ecc., la seconda organizza in modo nuovo le strutture, gli uffici, in un cosmo mutato, la terza da quella spinta e quel consenso necessario a far passare scelte in cui agisce pesantemente la sindrome di NIMBI. Il popolo vuole la spending review, ma in assenza delle altre due riforme essa  finirà per essere un fallimento. Le altre due riforme però cambiano la realtà, calpestano calli, poteri costituiti ( si è visto benissimo durante la conversione del decreto 90  di quale forza di pressione a volte indecente siano capaci ancora nei confronti della politica e di quanta opportunistica pavidità attraversi tutti i partiti ), cricche, caste, logge, lobby. Ancora di più si vedrà questo fenomeno se si procederà nella delega per creare l’ Ufficio territoriale dello stato in luogo delle attuali prefetture, ponendo fine alla dispersione in mille rivoli degli uffici periferici dei singoli ministeri e superando l’idea napoleonica dello stato centralista che occupa il territorio. Allora il consenso popolare che c’è sullo scopo  della spending review, che è quello di colpire sprechi, ridurre spese, sarà di grande aiuto per dare forza al resto.

5 dire la verità. Spendiamo come gli altri ma funzioniamo peggio. Quindi il lavoro che ci attende è riorganizzare, chiudere centri di spesa, aggregare, ridefinire missioni oggi obsolete, darci obiettivi, tempi, risorse, metodi di verifica e di rendicontazione. La riforma della pubblica amministrazione non si fa con le leggi ma con i piani industriali e se non piace il concetto diciamo  smontando il vecchio edificio  e ricostruendolo nuovo. E ogni edificio ha una storia a se come storie a se hanno l’amministrazione della giustizia, rispetto alla scuola, alla sanità, alle forze armate, ecc. Quindi ciò che si deve chiedere alle leggi è che forniscano alla politica e alla dirigenza gli strumenti, gli attrezzi per questo lungo lavoro. Ad esempio se in seguito alla nascita di una città metropolitana ( grande occasione offerta dalla riforma)  io mi trovo a riorganizzare gli uffici della gestione contabile o della pianificazione urbanistica avrò bisogno di semplificare la mobilità perché dovrò spostare gente,  mettere in condizione un dirigente di non sovrapporsi ad un altro e se è di troppo porlo di fronte all’offerta di un nuovo luogo di lavoro o di accettare mansioni inferiori rimanendo li. Guardate che non c’è un altro modo! Potrebbe accadere, anzi deve accadere, che interi uffici vengano chiusi e io mi ritrovi con personale da ricollocare. Allora ditemi perché quello che si è fatto per decenni per favorire la ristrutturazione di aziende private pagando con i soldi di tutti non dovrebbe poter accadere per ristrutturare il nostro bene comune, cioè la nostra macchina pubblica?

6 ci sono questi attrezzi? Le proposte che stiamo esaminando ce li assicurano? Direi onestamente alcuni si altri,  non meno indispensabili, ancora no. Ci sono strumenti nuovi importanti che ho già qui e la citato nel mio discorrere, altri che non ho citato e  che sono reperibile scorrendo i testi facilmente reperibili, penso ad esempio all’accorpamento delle scuole di formazione oppure alle nuove norme per la selezione e i concorsi da definirsi con delega. Ne mancano comunque a parere mio tre per me molto importanti.

A) una vera staffetta generazionale. Guardate che i giornali borghesi hanno molto snobbato e criticato questo obbligo di collocare a riposo insegnanti, medici, magistrati che hanno raggiunto l’età della pensione. Ma appunto sono borghesi, aggrappati ai loro privilegi “allo sperma vecchio di padri” si sarebbe detto nel 1968. Ma il ringiovanimento della PA è decisivo. Allora coraggio mandiamo in pensione una generazione che prima della riforma Fornero era già prossima a farlo. Ci costa meno che tenerli in servizio se non altro perché sono un tappo alle energie fresche, colte, tecnologicamente preparate, che languono nel precariato o nella disoccupazione.

B) non c’è nessun magistrato che ha voglia di ricostruire la vicenda vergognosa della carta d’identità elettronica? In quanti ci hanno lucrato e dove ci ha portato? Lo dico con altre parole  ripensare la pubblica amministrazione a partire dalla tecnologia non è un di più è il tutto. Il nostro paese ha  balbettato su queste cose, e anche questo governo continua a farlo. Abbiamo i corridoi pieni  di questuanti ma non abbiamo progetti veri, tutti se ne vogliono occupare perché sentono odore dei soldi,  ma nessuno sa per fare cosa.

C) un vero sistema di valutazione delle performance e della dirigenza. Dietro ad una certa filosofia che attraversa questi provvedimenti è sempre in agguato l’arbitrio della politica sulla dirigenza e sul complesso delle strutture. Non va bene. La politica stia nel suo. Dia gli indirizzi, definisca priorità, allochi le risorse secondo sue scelte insindacabili e li si fermi ; poi si doti di strumenti forti e trasparenti di valutazione. Selezioni. Colpisca senza pietà se serve ma non per logiche amicali. Avevamo una  difettosa Civit, oggi è stata trasformata in Anac per seguire la priorità da me condivisa della lotta alla corruzione. Ma un soggetto terzo che dia gli strumenti per valutare le amministrazioni ci vuole.