Ciò che mi crea profondo sgomento in questi tempi nostri, alla fin fine, è lo stupro della parola. Sono cresciuto in una terra umile, fra gente poco colta, e io stesso lo sono, quindi non mi sorprendo se una parola viene storpiata perché magari se ne conosce più il suono che il significato, o perché il nostro cervello ci dice che sta bene in quel contesto perché di sicuro in un contesto analogo l’ha  catalogata anche se non l’abbiamo capita e non la sapremmo spiegare. Per capirci, io adoro mio padre quando sapendo che non sa dire “trigliceridi” dice “criceti” e ride. E non mi riferisco nemmeno alla alterazione “artistica” della parola, quella che ad esempio seppero fare con grande maestria i futuristi, quando cercarono di far esprimere alla parola il rumore della nascente fabbrica, la velocità dei primi motori o la potenza rigeneratrice della bomba e della guerra. No, qui siamo in un altro pianeta che mi ha sempre affascinato, non è dunque di questo che sono sgomento. Parlo invece dello stupro scientifico della parola, quello che porta consapevolmente coloro i quali la conoscono, ne conoscono la sedimentazione storica, la potenza evocativa o la subdola capacità di penetrazione, a perseguire la menzogna, l’alterazione lenta e inesorabile del significato. Lo fanno per il potere, lo fanno per il denaro, lo fanno perché possono godere i vantaggi dell’imbarbarimento di massa, della corruzione delle coscienze. Pensate a quanta morte si sta dando luogo nel mondo stuprando la “parola di Dio”, che regolarmente viene definito ed in effetti è Dio misericordioso, Dio della pace. Pensate a quanta fame e denutrizione si da luogo nel mondo in nome della “libertà” e si omettono di usare le parole giuste che la storia del linguaggio ci offre: egoismo, sfruttamento, monopolio. E che dire del raggiro delle coscienze che si fa usando la parola “merito” la quale divisa dalla parola pari opportunità non è altro che la codificazione delle ingiustizie. Povertà, fame, sono parole rimosse, la nostra televisone non ne parla mai, anche sul web circolano pochissimo eppure la fame cresce, la miseria cresce. Qualcuno parlando usa parole ricercate nel tentativo di esprimere onestamente il suo pensiero? Diventa uno strano, uno superato, uno che non sa comunicare, quasi che comunicare significasse assecondare la menzogna, il raggiro, che con la parola alterata si produce. Sei un presidente di regione? Ti chiamo Governatore; il tuo ruolo non ha niente a che vedere con quello dei governatori? Non importa! La nostra è una Repubblica democratica costituzionale di tipo Parlamentare? Troppo complicato, siamo per la democrazia diretta. Ma per la democrazia diretta bisogna cambiare radicalmente la costituzione! Troppo complicato lo facciamo via web! E chi è il proprietario del web, quali vantaggi ne trae, quali controlli vi esercita? Troppo complicato!  Poi se il controllo sistematico lo fa un servizio americano con il bene placito di Obama, allora che vai cercando? E intanto la talpa dell’alterazione della parola scava, cambia i contesti, plasma le coscienze, riduce gli spazi di consapevolezza e quindi di libertà.

Laddove si era smarrita la responsabilità collettiva Max Weber nel 1919 richiamava al ruolo dell’etica della responsabilità come attitudine individuale del politico. Oggi l’etica della responsabilità è ancora una necessità molto moderna e non basta più che sia richiesta al politico, forse  a questa andrebbe aggiunta una bella rivolta fatta in nome dell’etica della parola magari portata avanti da una “lega” di poeti, scrittori, analfabeti e dottori, insomma uomini e donne consapevoli del grande raggiro che si sta producendo nell’era della comunicazione senza conoscenza.