La destra un anno dopo

Un’ analisi delle caratteristiche della destra al governo dopo un anno

Politica- 5 minuti lettura

A un anno dalla sconfitta delle forze di centro sinistra nelle elezioni politiche generali,  credo che sia possibile provare a stendere, per sommi capi, un profilo che ci faccia entrare maggiormente dentro la  natura politica dei vincitori e  individuare i punti fermi , le caratteristiche fondanti del loro approccio alla difficile azione di governo in cui sono impegnati.

Fino al 25 settembre del 2022 quando parlavamo  della destra in Italia avevamo in mente l’irripetibile esperienza del berlusconismo. Quella non era la destra che esiste nella cultura profonda del paese. Era un’altra cosa. Se  ho scritto irripetibile l’ho fatto  perché il berlusconismo senza Berlusconi  non può ripetersi (leggere in proposito il libro di Pietrangelo Buttafuoco: “Panegirico dell’arcitaliano Silvio Berlusconi”) Quella storia semmai ci ha ricordato che una destra liberale in Italia non è mai esistita e non esiste. O comunque quel primato del privato avverso al potere politico, quel primato dell’individuo, del meno Stato e più mercato, della presunzione che siano gli istinti animali del mercato a creare sviluppo e benessere,   non solo non  esiste, se non nei pamphlet di qualche professore, ma non esiste nemmeno in nessuna delle forme concrete più note. Non esiste nella forma concreta anglosassone che presuppone poteri economici molto più forti e indipendenti dallo Stato di quelli che agiscono in Italia e, tanto meno,  in quella ordoliberista tedesca che comporta, al contrario, una idea di Stato molto presente e soprattutto meno straccione di quello che opera da noi.  Il nostro è un paese dove anche chi prova simpatia teorica o istintiva  per quei concetti poi si ritrova a chiedere continuamente sostegno pubblico, deroghe fiscali e normative, condoni, ovvero predazione di ricchezza pubblica, dai giornali alle banche, dalle imprese agli istituti di formazione alla stessa sanità cosiddetta privata ma che  vive di grasse convenzioni pubbliche. Questa è l’Italia vera con le eccezioni che non fanno altro che confermare la regola. Quando scrivo questa cosa mi appare la faccia immarcescibile di Carlo Sangalli della Confcommercio campione  dell’uomo che deve chiedere sempre.

Questo è un paese che ha bisogno, a partire dai suoi campioni economici, del pubblico e della politica. Ed ecco una delle caratteristiche fondamentali della destra che ha prevalso alle elezioni:  non è più una destra commerciale che si fa strada con la sottocultura televisiva del Drive In, ma è una destra politica, impegnata a far prevalere, almeno in apparenza, una idea della vita, dello Stato,  il primato della politica e anche l’invadenza della politica. In questo la saldatura fra la destra rappresentata da Fratelli d’Italia e quella rappresentata dalla vecchia Lega-Nord, prima del disastro Salvini,  è abbastanza forte mentre  lo è meno con Forza Italia ( il ventre molle della alleanza al governo).  L’esperienza di governo della Lega nel nord del Paese vede un ruolo molto attivo della politica attraverso le istituzioni comunali e regionali il tentativo di Fratelli d’Italia sarà di sottrarre questo ruolo alla Lega non certo di ribaltarne l’approccio.

Come ideologicamente il Movimento Sociale di Almirante fu l’evoluzione parlamentare  del pensiero che guidò il ventennio fascista, Fratelli d’Italia  lo è rispetto a quella esperienza. Naturalmente vocata alla opposizione e fredda rispetto ai principi costituzionali,  deve farla diventare azione di  governo, agendo con più forza laddove i  principi della Costituzione più bella del mondo sono stati già logorati dalle esperienze dei governi precedenti e dai trattati internazionali, senza, per altro, mettere in cantina le sue radici. In questo senso gioco forza Meloni   cerca di armonizzare quella storia, senza rinnegarla mai, con la nuova dimensione globale dei fenomeni economici e politici e con i sistemi di alleanza che dal dopoguerra l’occidente capitalistico ha messo in campo.

Una operazione politica di grande spessore che se riesce, e non è scontato che riesca,  è destinata a segnare il panorama politico nazionale per molti anni a prescindere dal fatto che Fratelli d’Italia si trovi al governo o all’opposizione.

Che ne è quindi delle caratteristiche di una forza di  opposizione urlante e demagogica  che comunque intendeva marcare una sua forte impronta sociale in continuità con la natura  del MSI?

E’ un concetto che ho già espresso in un altro scritto su questo blog.  Cosi come Mussolini, chiamato al governo dal Re e nominato primo ministro, dopo il varo del suo governo con il voto favorevole del Parlamento, dedicò i suoi primi anni a dismettere gli abiti “rivoluzionari”, senza per altro buttarli,  per indossare il doppiopetto gradito ai grandi poteri economici che già ne avevano favorito la crescita per arginare il pericolo rosso, così Meloni, tal quale, giunta al governo ha sacrificato scientemente alcuni cavalli di battaglia del suo plebeismo, per indossare gli abiti firmati e  accreditarsi al mondo industriale del nord, all’Europa , alla Nato e in special modo agli USA, in tutto questo favorita dal contesto di guerra militare e commerciale, scelto dai suoi interlocutori internazionali come tema dominante e ossessivo, in cui Lei sguazza come un pesce nello stagno.

Ma sbaglieremmo se ritenessimo che la dominante sociale che caratterizza Fratelli d’Italia rispetto alla destra liberista che abbiamo malamente conosciuto con Berlusconi sia stata dismessa.

La ritroviamo e ritroveremo in operazioni più simboliche che di sostanza ma comunque per nulla insignificanti. E’ Fratelli d’Italia che ha aperto il tema degli extraprofitti delle banche da tassare. E’ vero che ha dovuto fare una marcia indietro più che parziale, ma non ricordo un precedente in cui un governo si sia posto in termini così assertivi nei confronti del potere delle banche. Potere politico contro potere finanziario, se non altro un segnale dai molti significati. Solo Giuliano Amato si era permesso nel 1992 di entrare così a gamba tesa nelle banche, ma lo fece a danno dei correntisti e non del sistema bancario. Mai la sinistra di governo negli ultimi trent’anni ha avuto tanto ardire, acconciandosi ad una  subalternità  penosa.  Ed è sempre Fratelli d’Italia che sta marcando ogni provvedimento di tipo sociale con lo stigma dell’aiuto alle famiglie con figli, meglio con più di due figli. Senza per questo fare nulla per disturbare le imprese sul tema dei diritti del lavoro, sulle politiche redistributive, su regole stringenti in materia di sostenibilità ambientale. Anzi in nome del “non disturbare chi produce e crea ricchezza” si caratterizza per norme che vanno incontro agli istinti più bassi del sistema imprenditoriale italiano.

Si tratta di  neocorporativismo. Se la sinistra dovrebbe (dico dovrebbe con tutti i punti interrogativi e esclamativi che volete metterci) sostenere sempre e comunque l’universalismo dei diritti e dei servizi, se il liberismo dovrebbe predicare il “vade retro” Stato in nome dell’individualismo più sfrenato, il neocorporativismo spezzetta in tanti francobolli le rivendicazioni sociali che potrebbero mettere in questione il sistema, legittima una pletora di interlocutori questuanti, ma da anche l’illusione che chi  si organizza in corporazione sarà preso in considerazione, non sarà lasciato solo. Un triplo salto mortale carpiato all’indietro ma che trova proseliti in periodi di vacche magrissime in cui invece di fare politiche redistributive radicali si danno dei contentini, mance,  e la soddisfazione sta nel non essere dimenticati. Scordatevi il generale, concentratevi sul vostro problema particolare e ingaggiate una battaglia per salire sulle spalle di chi sta sotto cosicché vi si possa vedere. Mi pare questo il messaggio.

E’ dunque una operazione profonda di ricostruzione di un profilo di destra che abbia un ancoraggio non nella potenza della comunicazione ma nei caratteri della società italiana. Ci vorrebbe un Gramsci a rileggerli con la stessa meticolosità con cui il comunista sardo riuscì a farlo dal carcere con i suoi Quaderni. E questa destra ha sicuramente letto Gramsci, tanta è la meticolosa attenzione che pone nella conquista delle “casematte” senza il cui controllo non è dato costruire un vero potere. Che siano le grandi aziende partecipate dallo Stato o la Rai, che sia l’editoria o le organizzazioni degli interessi, in un anno abbiamo già visto quanto asservimento al governo abbia prodotto e non si fermeranno. Dove non riusciranno a conquistare lo spazio di controllo di certi poteri cercheranno comunque di non averli frontalmente contro e se questi si riveleranno  impenetrabili cercheranno di dividerli. Il riferimento al sindacato è chiaramente voluto.

Questa azione ha bisogno di tempi medio lunghi e per questo è importante evitare strappi, prendersi il tempo necessario e cementare le alleanze politiche e sociali. E’ la parte più complicata dell’opera. Giorgia Meloni  è giunta al governo stando all’opposizione del governo di Mario Draghi e ancora prima all’opposizione del governo Conte-Salvini.  Eppure con pazienza passando per le elezioni locali e regionali ha cementato una alleanza che risulta essere molto più credibile e coesa di quella che è in grado di mettere in campo il fronte opposto. Questa è politica, compromesso, bastone e carota, pazienza nell’ingoiare qualche rospo. L’alleanza prima degli interessi di parte. Con la morte di Silvio Berlusconi e conoscendo Matteo Salvini lo scenario si è fatto per Lei  più complicato ma non ha alternative.

Se la mia analisi è corretta le sofferenze maggiore le derivano dall’alto livello di inflazione e  dal debito pubblico più che dalla forte crescita del fenomeno migratorio. Tutte tre grandi questioni che hanno poco a che fare con la sua responsabilità diretta e del suo partito. La fiammata dell’inflazione trae origini prima  dalle  scelte fatte da Biden poco dopo la sua elezione e poi dalla questione energetica connessa alla politica delle sanzioni e alla guerra in Ucraina. Il debito è quello che è dopo la pandemia e sarebbe demenziale pensare che si possa rientrare con politiche restrittive ancora più forti di quelle conseguenti all’aumento dei tassi d’interesse  da parte della BCE che già stanno bastonando le famiglie. Fatto sta che il neocorporativismo non è certo una politica con cui è possibile mettere  i conti in ordine. Di qui il bisogno di tenere a freno le spinte centrifughe che si possono aprire nella sua alleanza di governo e nel suo stesso elettorato.

Ci vorrebbe un collante ideologico che certo esiste nel nucleo forte di Fratelli d’Italia ma non so quanto regga in un corpo  elettorale che si è allargato molto e molto in fretta. E’ un fenomeno  che vedemmo già con il PSI di Craxi alla fine della prima repubblica e con i 5 stelle alla fine della seconda.

Comunque dalla capacità di tenuta politica della sua maggioranza dentro ad un contesto economico avverso dipende se vedremo attivare o meno  la scelta di  scatenare vere e proprie campagne ideologiche di distrazione di massa.

La prima è quella classica di tutte queste nuove destre occidentali; mettere i migranti contro i cittadini portare il paese su  una sponda ancora più marcatamente xenofoba. Su questo terreno secondo me non abbiamo  ancora visto tutto  ciò che sarebbe capace questa destra per ora è tenuta a freno dalla responsabilità di governo ma, appunto, per ora.

La seconda è la riforma della Costituzione. Finora Giorgia Meloni si è limitata a dare corda alla Lega sulla autonomia differenziata salvo poi strattonarla tutte le volte che ha intravisto un pericolo per la stabilità del  governo e un pericolo di logoramento del rapporto con la Presidenza della Repubblica. Per quanto riguarda invece il premierato si è limitata ad una commissione di lavoro e studio.

Sono convinto che questa sia ancora la strada privilegiata della Presidente del Consiglio.  Ma in un contesto di difficoltà del suo governo ci metterebbe un nulla a fare di questa questione  la grande questione nazionale. Questo è un terreno già parzialmente arato dal centrosinistra e non solo per la riforma Renzi bocciata nel 2016 ma che vedeva schierata a suo favore tanta parte dell’establishment. C’è un modo di interpretare il suo ruolo da parte del Presidente della Repubblica  che, a mio parere,  muove in quella direzione. Insomma temo che a sinistra vi sarebbero molti che, invece di opporsi con tutte le forze, direbbero: parliamone.

Ma questo governo ha comunque vadano le cose una polizza assicurativa piuttosto forte a garanzia della sua sopravvivenza. Si tratta della guerra, dell’atlantismo dominante, della economia di guerra che vien imposta a tutti i paesi europei. Qui il discorso si farebbe lungo ma lo sintetizzo così. Il capitalismo occidentale ha ormai preso atto che il “dividendo economico della pace” che pensava gli fosse garantito da una globalizzazione pacifica dei mercati, a conti fatti non gli conviene più. E’ un dividendo economico che ormai viene eroso giorno dopo giorno dalla Cina, dall’India, dai BRICS e domani da nuove nazioni emergenti in particolare africane. Hanno deciso che c’è più margine per la difesa della propria ricchezza e c’è più ricchezza futura nel “dividendo economico della guerra”. L’Ucraina è solo un pezzetto di questa nuova realtà ma ha già prodotto un effetto: l’eutanasia dell’Europa e la sua sostituzione con la Nato. Chi più di questo governo può trarre vantaggio da questa realtà demenzialmente assecondata dalla sinistra europea?

Questo interrogativo apre una riflessione su che sinistra c’è e su che sinistra servirebbe ad un anno dalla vittoria della destra nelle elezioni politiche , cosa che mi riservo di fare a breve