La città condivisa, ovvero ridare radici territoriali alla sinistra
Politica- 5 minuti lettura
Come da tutte le esperienze, a maggior ragione da quelle legate a ruoli di responsabilità istituzionale ancorché vissute in periodi ormai lontani, si possono trarre insegnamenti che parlano anche all’oggi. In questo testo che vi propongo e che si riferisce alla bella serata in cui è stato presentato il libro ” La città condivisa- politica, società, cultura a Pesaro durante la sindacatura di Oriano Giovanelli (1992/2004)” leggendo in controluce si possono cogliere alcuni suggerimenti per l’oggi a mio avviso validi per la sinistra:
1 il valore delle radici storiche di una esperienza politica, rispetto la quale l’interpretazione del proprio ruolo deve essere nel contempo forte innovazione ma salda continuità di valori fondanti.
2 il dialogo incessante con i cittadini, senza mai pensare che questo possa essere d’intralcio alla capacità di prendere decisioni importanti. Anzi è proprio l’assenza di dialogo che spesso crea la presunzione vana di una democrazia decidente in cui il popolo scompare e rimangono solo le elite.
3 Il valore del collettivo che deve metterci sempre al riparo dall’uomo solo al comando.
4 il valore delle assemblee elettive rispetto agli esecutivi.
5 il fatto che non si deve, sottolineo deve, mai pensare che la politica possa prescindere da soggetti politici organizzati ( i partiti) e dal ruolo dei corpi intermedi.
6 Lo spazio da assicurare alle competenze nella gestione amministrativa e il rifuggire dall’idea che la politica possa prescindere o invadere il campo proprio delle strutture amministrative. Se una fabbrica chiude non se ne può far colpa alla politica ma se una amministrazione pubblica non funziona assolutamente si, perché il primo compito di chi assume una responsabilità istituzionale deve essere di cura re la struttura che deve concorrere a dare concretezza e realizzare i progetti politici.
7 Infine, che le grandi opere e i grandi eventi non fanno la città, la città è fatta da tutto ciò che rafforza la comunità e quindi prioritariamente sociale , educativo, cultura.
ECCO IL TESTO DEL MIO INTERVENTO DI RINGRAZIAMENTO
Grazie a tutte e tutti che siete qui e grazie davvero a chi avrebbe voluto esserci ma non è riuscito a farlo e tuttavia hanno voluto farci avere un messaggio di partecipazione.
Grazie a Simonetta Romagna che mi ha proposto questo progetto, a Mauro Annoni e ovviamente agli autori Andrea Girometti, Marco Gualtieri guidati sapientemente da Anna Tonelli.
Fummo subito d’accordo sul fatto che fosse utile fare un libro di storia non una agiografia di un periodo e tanto meno della mia persona. Un libro di storia che rientrasse nel progetto più ampio di restituzione di ciò che è stato il governo della città di Pesaro nel dopoguerra dando al lettore gli strumenti per capire l’oggi e anche valutare successi e fallimenti.
Amo la ricerca e da persona che ha fatto della politica la sua vita non mi riesce proprio di scindere la politica dalla conoscenza, dalla storia, dalla cultura. E’ un residuo di un tempo del tutto superato? Io non lo credo.
Quindi la ricerca va fatta e sostenuta, gli archivi vanno alimentati tenuti in ordine e aperti ai ricercatori e io ringrazio chi lavora all’archivio del Comune, per il contributo che ci hanno dato pur in periodi segnati dal covid, ma credo che l’amministrazione debba fare di più e meglio su questo punto.
Ringrazio anche per il titolo, non so chi lo abbia scelto ma davvero complimenti.
Lo dico subito. La città condivisa qualche volta è stata una realtà, altre volte no, ma sempre è stato un obiettivo.
Non c’è scelta comunale strategica che noi abbiamo vissuto in quei dodici anni che non si stata il frutto anche di un faticoso percorso di condivisione. Dalla reinvenzione della organizzazione interna dell’Ente che ha comportato un dialogo serratissimo con i dirigenti , i dipendenti e i sindacati, al piano dei tempi e degli orari, dall’ urbanistica partecipata al rilancio delle Circoscrizioni, dal primo progetto chiamato appunto Partecipazione dato in responsabilità a Mario Maoloni che vi saluta tutti all’ultimo: il Piano Strategico seguito da Fiorenza Martufi . In mezzo ci sono una miriade di progetti che obbligatoriamente passavano sempre per un faticoso ma arricchente percorso di ascolto e condivisione della città, del Consiglio Comunale dei partiti.
Non credo questo metodo togliesse nulla alla capacità di decidere perché di decisioni ne abbiamo prese tante e anche difficili.
Non tolse nulla neanche al conflitto.
Anzi se lo riguardiamo quel periodo fu non solo segnato da grandi crisi politiche, grandi cambiamenti ma anche da aspri conflitti. Conflitti nei partiti, fra i partiti, nella società e nel rapporto fra questa e l’amministrazione. Del resto senza conflitto è difficile immaginare una democrazia compiuta e vitale. E noi ci buttavamo dentro a questi conflitti con fiducia parecchio coraggio e tanta incoscienza.
Mi è stato detto: leggendo il libro si capisce che a te non hanno risparmiato niente e ho risposto effettivamente non ci siamo fatti mancare niente. Dalle vicende giudiziarie, alla fine di tutti i partiti, dai grandi nodi da affrontare e risolvere di cui parla ampiamente il libro con una ricostruzione minuziosa e per i quali non è una metafora il dire ” non ci dormivo la notte”, alle morti di ematologia, dalla vicenda degli elminti nell’acquedotto ( che immagino abbiate tutti rimosso) al blocco della nuova discarica, dalle occupazioni della sala del consiglio comunale da parte degli ambulanti allo sciopero delle insegne ( anche questo lo avrete dimenticato) dalle tende piantate nel mezzo del cantiere della interquartieri alla fallimento della VIS e la retrocessione della Scavolini con il dubbio che quel palazzo che ci aveva fatto tanto penare portasse pure sfiga. Per fortuna non è così.
Ma ci siamo tolti anche parecchie soddisfazioni e strada facendo abbiamo potuto misurare il legame fra di noi e con la città, la città tutta senza distinzione di appartenenza politica o sociale.
Di complimenti ne ho avuti anche troppi. Anche in questi giorni. Ne voglio condividere con voi uno non esplicito ma indiretto: io mi muovevo a piedi qui in centro e un giorno incrocio Mario Giorgi il costruttore facemmo tutto il corso ovviamente lui parlò di donne. Poi ci salutammo e mi disse tu sei un sindaco che non ha paura di fare una passeggiata in centro con uno come me tanto la gente lo sa che non c’è da pensar male.
E ne ricordo anche un altro per me importante. Dopo la condanna in primo grado non era facile nemmeno camminare per strada, la cosa non poteva durare a lungo e allora parlando con uno dei miei avvocati il giuslavorista Alleva gli chiesi di fare di tutto per anticipare l’appello e lui: io non ho mai visto un tacchino che vuole anticipare il Natale e riuscimmo a ridere.
Pur dentro a quel vortice di fatti e conflitti facemmo cose importanti.
Non credo onestamente che inventammo cose però guardammo alle teorizzazioni più avanzate che stavano venendo fuori dalla cultura amministrativa di quegli anni anche sotto l’impulso delle politiche europee e le facemmo nostre. Le introiettammo come nostra cultura di governo e soprattutto le realizzammo. Tant’è che per un lungo periodo il caso Pesaro fu appunto un caso e per questo studiato e presentato come ciò che poteva essere fatto e che in troppe realtà non veniva fatto. Potremmo dire che interpretammo al meglio delle nostre possibilità il nostro tempo. Non fu tutto lineare, non eravamo tutti d’accordo ma non ci perdemmo d’animo.
E’ del tutto evidente che una esperienza come quella non può in nessun modo ridursi ad una persona. Ecco perché dico che non fu l’io ma il noi a guidarci.
Non posso non ricordare tutti coloro che dettero il loro contributo di intelligenza e di lavoro. Posso, anzi devo però fare cenno di chi c’era non c’è più. Gli assessori Curzio Luminati, Loreno Sguanci, Anselmo Lorenzetti, Maria Pia Gennari, Marcello Secchiaroli.
Oggi forse non si direbbe e questo già dovrebbe far riflettere, ma fu fondamentale il ruolo dei consiglieri comunali i quali esprimevano un legame speciale con il territorio fino nei dettagli della vita quotidiana di ogni quartiere. Anche di questi in troppi ci hanno lasciato ne cito uno per tutti il mitico Dino Ruggeri assieme agli avversari politici e fra questi ricordo con affetto il rosso verde Gambini e la nostra storia sulla quercia di via Milazzo, il camerata Calcatelli, il liberale Pantanelli, ( ho sentito Francesco Grianti i giorni scorsi).; Alberto Milazzo.
Il personale con cui si creò un legame molto particolare e profondo e anche qui fatemi dire qualche nome senza togliere nulla a tutti gli altri di persone che ci hanno lasciato, Ezio Gramolini alla cui memoria sono debitore di un impegno per una pubblicazione sul ruolo della edilizia popolare a Pesaro, , Vincenzo Lacetera e la sua grande intelligenza anche nel farsi da parte, Maurizio Mancinelli con gli esileranti ricordi del mio maglione e dell’incontro con il Presidente del Tar delle Marche, Giuliano Tacchi il professore del sociale , Ivo Monteforte l’aristocratico direttore.
Non meno importante il ruolo di chi si spendeva nei partiti senza le luci della ribalta istituzionale e nei sindacati in particolare quelli interni all’amministrazione.
Ma è nelle radici profonde della città che abbiamo, ho trovato, un sostegno a volte inaspettato. Una politica popolare che arrivava al popolo e pur fra mille critiche la ricambiava di attenzione e rispetto. Era un fatto fisico che ti faceva stare bene, incontravi la gente nelle assemblee poi finivi nei circoli , nelle case del popolo a chiudere la serata. Non di meno il legame popolare attraverso le parrocchie i tanti preti di buona volontà e di grande apertura mentale e magari se eri stravolto dalla fatica o da qualche delusione ti capitava di riprendere le forze semplicemente andando a pranzo in via del seminario con i ragazzi e gli operatori della comunità.
Per non dimenticare che città speciale sappiamo essere ricordo sempre a me stesso la vicenda del blocco della discarica con conseguente blocco del servizio di raccolta dei rifiuti. Ricordo la gente che pur di non sporcare la città si teneva la monnezza in casa e nei terrazzi. E ricordo quegli operai dell’aspes che, sbloccata la vicenda, lavorando giorno e notte in 36 ore portarono tutto alla normalità. Fu bellissimo girare la notte a ringraziare quegli operai al lavoro. Poi guardo ogni settimana il centro storico di Roma e traggo le mie conclusioni.
E’ su quel fare comunità che bisognerebbe sempre accendere i riflettori. Da questo punto di vista il libro non da tutte le risposte segnato com’è necessariamente dalle grandi questioni che ci siamo trovati ad affrontare. Quello che rimane sullo sfondo è il lavoro di rete quotidiana che fanno i servizi sociali, i servizi educativi, le biblioteche, i servizi culturali. La città fa parlare di se per il grande fatto che va sui giornali ma non sono quei grandi fatti che fanno la città.
Senza quel lavoro nessuna condivisione è possibile e tutto si parcellizza si frantuma .
Ecco vorrei dire che proprio su quel terreno non abbiamo mai smesso di lavorare innovando ma dando continuità a una storia che non è certo cominciata in quei dodici anni un patrimonio che abbiamo ereditato che abbiamo cercato di conservare e incrementare per lasciarlo a chi è venuto dopo di noi.
C’abbiamo provato, abbiamo pagato anche dei prezzi, ma ne valeva la pena.
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