POSCIA, PIU CHE ‘L DOLOR POTE ‘L DIGIUNO
(Dante, Inferno, XXIII)

Credo di non esagerare se dico di aver fatto qualche migliaio di chilometri su e giù per l’Italia per sostenere la necessità che i comuni affrontino consapevolmente e con lungimiranza il tema delle “Unioni” e delle “Fusioni”. Negli ultimi tempi ho anche rafforzato in me la propensione per le “Fusioni” laddove si creano le condizioni per farlo. Le ragioni sono presto dette. Le “Unioni” si prestano a positive azioni di partenza che non sempre riescono a consolidarsi e ad estendersi cosicché alla prima difficoltà dovuta anche al cambio di guida politica delle amministrazioni interessate si registrano paralisi e addirittura pericolosi ritorni indietro. E’ accaduto anche con l’Unione Pian del Bruscolo. L’altra ragione forse ancora più rilevante è che le “Unioni”, volenti o nolenti, si concretizzano in un restringimento della democrazia attraverso un minor ruolo dei Consigli dei singoli Comuni aderenti e una pericolosa diminuzione del controllo democratico che i consiglieri, in particolare di opposizione, possono effettivamente svolgere sulla gestione di servizi fondamentali per i loro concittadini. Questo sommato all’affidamento sempre più esteso di servizi a società partecipate è uno dei fattori più rilevanti della crisi di identità dei Consigli Comunali. Va da se che la creazione di una Unione fra Comuni o una Fusione ha bisogno di essere preparata, discussa, supportata da un disegno programmatico di medio periodo, in una parola di una visione. Non è un caso che proprio nelle esperienze di Unioni e nella costruzione di Fusioni ci si rifà alla pianificazione strategica, alla simulazione di servizi da riorganizzare o da aprire ex novo, a piani di investimenti, ad un dibattito partecipato con gli attori sociali, economici e culturali. Così si crea l’attenzione necessaria da parte dei cittadini interessati e si giunge a indicare soluzioni motivate e fattibili. Lo scarsissimo interesse dei pesaresi alle elezioni di domenica scorsa per la proposta di Fusione con Monteciccardo, non va quindi letta come una snobbistica sufficienza degli elettori e delle elettrici verso la scelta in discussione ancora meno verso il comune di Monteciccardo, ma come un limite nelle motivazioni e nelle modalità che hanno sostenuto la proposta. Le ho riassunte ironicamente nel titolo. Questo ha rischiato di appannare la positività della scelta, positività che non sta solo nella possibile soluzione di problemi concreti dei concittadini di Monteciccardo e nelle risorse aggiuntive che arriveranno ai comuni che giungeranno alla fusione. Il Comune di Pesaro arricchisce la corona già magnifica di borghi e castelli che ornano la città pentagonale con un’altra gemma. Ora Monteciccardo e i sui abitanti condivideranno, con una specialità che gli andrà salvaguardata e attentamente curata, quel sistema collinare pesarese già straordinariamente ricco di Novilara, Candelara, Ginestreto, Pozzo, Casteldimezzo, Fiorenzuola. Saranno state le mie origini urbinati che mi hanno spinto da Sindaco a vivere quelle realtà come uno straordinario valore aggiunto e a cercare di dedicare loro uno sforzo continuativo e coerente teso a recuperarli nella loro identità e funzione. Allora ciò che non è stato fatto prima va fatto ora. Bisogna costruire e rafforzare le ragioni e gli obiettivi della fusione con Monteciccardo con un progetto che non può che riguardare tutto il sistema collinare. A questo proposito qualche anno fa Maris Galdenzi, già consigliere comunale e presidente della circoscrizione di Novilara, elaborò un progetto dal titolo “Borghi di Città” che potrebbe essere utilmente la base degli “stati generali dei borghi e dei castelli pesaresi” in cui riflettere sul loro futuro e sul contributo che essi posso dare alla crescita economica e culturale di Pesaro. Del resto se l’unica vera manifestazione, oltre a quelle sportive e al Rossini Opera Festival, che porta un valore aggiunto a tutta la città si fa a Candelara mentre in centro fra braceri, torri, ruote e mercatini vari si muove solo e sempre la stessa acqua dello stesso recipiente, una ragione ci sarà. E se il Parco del San Bartolo non ha dato tutti i frutti che potrebbe dare forse è solo perché non si ha avuto il coraggio di portare alla estreme conseguenze quella forte scelta ambientale e storico culturale che sottendeva la sua nascita prevedendo ad esempio una riserva marina protetta, come è stato fatto in tanti luoghi in Italia che possono vantare, e non sono molti, una tale bellezza. Insomma se il matrimonio è stato un matrimonio d’ interessi più che d’amore questo non vuol dire che non si debba fare qualcosa perché duri e sia fruttifero, evitando di ridurre tutto ad un calcolo economico.
Oriano Giovanelli (Apriti Pesaro)