Cari amministratori, cari pesaresi, fatemi sentire che non avete dimenticato Don Gaudiano.
Dimenticare Don Gaudiano è un grave errore, metterlo nella bacheca dei ricordi formali e celebrativi una offesa e un crimine verso la nostra comunità.
Tenetela a mente questa parola: comunità.
Nei 25 anni che ci separano dalla sua morte tutto ha remato contro l’idea di comunità. La convinzione che bastasse il mercato, liberare gli spiriti animali dell’impresa contro il lavoro, smantellare regole e ruolo del sistema pubblico, la scelta di incentivare la competizione fra individui, l’esaltazione del merito in barba alle differenze sociali, l’esasperazione corporativa delle categorie sociali, impoverire la partecipazione democratica alle scelte pubbliche aumentano il potere opaco e non regolato delle lobbies.
E’ stato un drammatico fallimento. Tutti ci sentiamo più poveri, forse anche quel 10% di famiglie che detiene la maggioranza assoluta delle ricchezze visto che non può vivere ancora in un altro pianeta. Ma siamo più poveri socialmente ancor prima che economicamente. Siamo insicuri, sfiduciati, soli, ci sentiamo perseguitati dalla sorte e abbiamo paura per noi, per i nostri figli per i nostri nipoti.
Questa paura non la sappiamo indirizzare verso una oggettiva responsabilità politica o economica. Tutto diventa colpevole soprattutto se è più prossimo alle nostre difficoltà e per questi proviamo rancore.
Sono saltati i fondamentali della comunità. Il sociale diventa residuale, la povertà ( anzi le diverse povertà) una realtà da nascondere, come quei padri disgraziati che di fronte alla miseria della loro famiglia spendono i pochi spiccioli per ubriacarsi, non vedere e non c’è nessuno che ti prende per mano e ti porta fuori dal tunnel.
E così non vediamo le malattie degenerative delle persone anziane crescere, l’autismo, le dipendenze dal gioco d’azzardo, l’alcolismo fra i giovani e le loro vite sempre più disordinate e troppo spesso vuote. E se le vediamo le avvertiamo come un dramma, un problema, un costo e non vediamo la persona che c’è dietro o la gioia che da veder star meglio chi sta male.
25 anni fa con la morte di Don Gaudiano e la proclamazione del lutto cittadino, volemmo affermare che a Pesaro eravamo una comunità e che lo eravamo anche e soprattutto per l’opera visionaria e materiale di quel sacerdote.
Io rivendico quella scelta della Amministrazione Comunale come una pietra miliare, un punto di maturazione anche politica di una storia che aveva messo radici profonde.
Gli steccati ideologici erano saltati, un fatto politico originale si era concretizzato: una idea comune di città. Il sociale sugli scudi a rappresentarne una carta d’identità forte di Pesaro nelle Marche e in Italia.
Le “baracche” di Don Gaudiano non erano altro che la punta di una cultura profonda e radicata dove il riformismo socialista della amministrazione comunale, il solidarismo cattolico sotto le grandi ali del vescovo Michetti e la generosa azione di Gianfranco Sabatini avevano infine dissodato il terreno dell’ ignoranza e dell’egoismo.
Una cultura che ha sempre saputo che non basta il denaro, non basta il mercato, ci vuole l’azione convergente della comunità affinché nessuno resti solo.
Uso consapevolmente la parola comunità e non pubblico, o meglio posso usare anche la parola pubblico ma nel senso di un bene comune cui concorrono diversi soggetti accomunati da una visione alta del vivere civile.
E’ nel confronto con queste esperienze forti che anche la sinistra si libera di una sorta di delega allo stato, al sistema per far fronte alla domanda sociale e scopre che è soprattutto la cittadinanza attiva il motore della coesione e del benessere.
La crisi ci è arrivata addosso come uno tsunami a Pesaro più che altrove in Italia e nelle Marche , ma la risposta alla crisi non sta nell’esorcizzarla parlando d’altro, come purtroppo ho ormai certezza che si stia facendo, ma nel guardarla negli occhi forti di quella storia e di quelle radici; altra strada non c’è. Tutto il resto è diversivo,” fuffa” .
I signori dei conti ci dicono che sono cambiati i tempi e che non ci sono più i soldi sufficienti per garantire soprattutto un certo sistema di protezione sociale.
Non dirò qui l’approccio che aveva Don Gaudiano con questo problema.
Ma anche volendo essere più amministratori e meno profeti dire che oggi non ce la possiamo più permettere la nostra qualità sociale è una bufala, è solo un modo per tenersi cari i propri privilegi, è solo un modo per trasformare anche le povertà e la salute delle persone in un fiorente mercato.
Guardate lo sciagurato sguardo sottomesso che anche chi governa le nostre città ha ormai verso l’Europa. Una Europa non neutra ma chiaramente schiacciata sui poteri economici e finanziari più forti non fa che ripete: abbassate le tasse, tagliate la spesa pubblica, privatizzate i servizi, precarizzate il lavoro.
Cosi la questione sociale torna ad essere una questione di carità verso gli “scarti” come dice Papa Francesco. Tutto il contrario della grande lezione che ci viene da Don Gaudiano e da quella consonanza originale che a Pesaro si realizzò.
Allora questo contributo verso le elezioni amministrative si può concludere così: la linea di demarcazione fra una idea evoluta di comunità e una società sempre più schiava delle logiche di mercato è chiara. O si sta di qua o si sta di la di questa linea di demarcazione. Chi sta a cavallo della linea è destinato a ruzzolare a terra.