Signor Presidente, credo che il dibattito si sia proficuamente avviato verso un auspicio che mi auguro il Governo raccolga e si faccia parte diligente, di una mozione unitaria che faccia sintesi tra i punti di vista, mi sembra sostanzialmente convergenti, che sono emersi nel dibattito fino a questo momento. Condivido del tutto l’intervento che ha fatto il mio collega, l’onorevole Naccarato, e voglio aggiungere soltanto alcune sottolineature che mi sembrano importanti relativamente anche alla particolare contingenza politica ed economica che stiamo attraversando. Sono tra quelli che sono convinti, anzi, fermamente convinti, che la semplificazione istituzionale può favorire da una parte una pubblica amministrazione migliore, più efficace e più efficiente, dall’altra un contenimento della riduzione dei costi nella produzione dei servizi. Credo che questa sia una strada maestra che dobbiamo perseguire con grande determinazione, fra l’altro chiaramente indicata dal Titolo V della parte seconda della Costituzione. Se c’è un’autocritica che dobbiamo farci – senza voler sottolineare particolari divisioni tra noi in merito – è che abbiamo tardato molto a dare attuazione piena ai contenuti del Titolo V della parte seconda della Costituzione, abbiamo manifestato incertezza su quella strada e così abbiamo favorito il fatto che lo stesso concetto di federalismo venisse in qualche modo declinato, quasi che andassimo ad aggiungere pezzi al sistema, più che semplificarlo, producendo maggiori costi, più che riducendoli, producendo complicazioni piuttosto che semplificazione. Penso che siamo ancora in tempo per ritrovare il bandolo della matassa e prendere una strada corretta in questa direzione. Molto dipende dai passi che si fanno. Da questo punto di vista, due sottolineature voglio fare. Sbagliamo quando diciamo che, ad esempio, i comuni sono troppi. L’articolo 5 della Costituzione dice chiaramente che la Repubblica riconosce le autonomie. Quasi un omaggio alla storia, nel senso che la Repubblica riconosce che le autonomie preesistono alla Repubblica e quindi dilungarci sul numero dei comuni può essere ozioso o comunque può andare a sollecitare negativamente quel senso di identità di cui i cittadini italiani sono particolarmente gelosi. Credo che, molto più fruttuosamente, potremmo orientarci nella direzione di forme di unione che fanno salva l’identità storica e, nello stesso tempo, si muovono nella direzione della gestione associata delle funzioni fondamentali che la legge deve attribuire ai comuni e della gestione associata dei servizi. E ancora, quando abbiamo parlato del federalismo e abbiamo anticipato l’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione a quanto era previsto dagli articoli 117 e 118 – lo ricordava il collega Naccarato – abbiamo fatto un errore, perché è difficile discutere delle fonti di finanziamento degli enti se non si discute prima e in modo chiaro e definitivo delle loro funzioni e credo che questo errore lo possiamo recuperare e quindi condivido molto ciò che ha appena detto il collega Valducci, di andare rapidamente all’approvazione al Senato della Carta delle autonomie, per tornare qui alla Camera ad una riflessione su quel testo e licenziarlo nei tempi più rapidi possibili. Vengo alla questione: semplificare il sistema istituzionale certo non può limitarsi alla sola questione della frammentazione istituzionale comunale. C’è il grande tema del superamento del Pag. 50bicameralismo e della nascita di un Senato delle regioni e delle autonomie. Oggi stesso il Presidente del Consiglio ci ha riproposto il tema della riforma delle province. Però, senza nulla togliere a questi aspetti della riforma istituzionale, dal mio punto di vista credo che, ancor di più di questi punti, sia rilevante il tema dell’unione dei comuni. Magari solletica meno il dibattito intellettuale e il contributo dei costituzionalisti, ma, dal punto di vista funzionale, ormai che la stragrande maggioranza dei servizi dipende direttamente dai comuni e che la vita quotidiana delle persone, delle famiglie e delle imprese e il destino dei territori è in gran parte nelle mani dei comuni medesimi, noi dobbiamo interrogarci fino in fondo su cosa significa essere adeguati a svolgere queste responsabilità e queste funzioni. Il contributo straordinario, quindi, può venire da un lavoro razionale ed importante che si può fare attorno al tema dell’associazionismo comunale verso la gestione dei servizi e delle funzioni. Ciò a maggior ragione – mi sia consentito -, nel momento in cui mettiamo in discussione le province, Dio non voglia che noi, nel discutere e nel decidere il destino delle province stesse, ci rassegniamo ad uno scivolamento, dal mio punto di vista assai pericoloso, verso un neocentralismo regionale che è una delle cose più pericolose che oggi ci si presentano davanti al sistema istituzionale.Per quanto riguarda, quindi, la questione delle unioni, starei molto sull’adeguatezza. Capisco che il Parlamento spesso è costretto o, comunque, indotto a ricercare strumenti di incentivazione verso soluzioni più razionali che sono un po’ semplicistiche. Adottare il numero degli abitanti o soltanto il numero degli abitanti per spingere nella direzione di una razionalizzazione del sistema locale è giusto, ma, nello stesso tempo, è insufficiente, perché il territorio italiano è estremamente diversificato, perché il parametro degli abitanti può non essere sufficiente, anzi sicuramente non lo è, e tende a semplificare il panorama. Credo, quindi, ci voglia una riflessione più approfondita. A tali questioni, però, se ne possono aggiungere altre. Credo che, ad esempio, un buon criterio per dire quanto deve essere grande un’unione di comuni e qual è il parametro di riferimento potrebbe essere il ragionamento attorno ad un passaggio ormai ineludibile nella produzione dei servizi che è la professionalizzazione dei servizi medesimi, cioè il rendere i servizi in modo professionale. Qualcuno un po’ naïf può essere ancora affezionato al fatto che vi sia un comune dove il vigile urbano fa l’usciere, risponde al telefono, fa il vigile urbano e guida la macchina. Credo che questo, appunto, faccia parte di una storia passata, per quanto bella ed affascinante. Abbiamo bisogno sempre di più di prendere parametri professionali nella gestione dei servizi, altrimenti come facciamo a chiedere agli enti tutta una serie di strumentazioni che sono ormai necessarie per la gestione corretta delle risorse umane e delle risorse finanziarie. Credo, quindi, che un buon criterio sia quello di puntare verso la professionalizzazione dei servizi, il che significa, ad esempio, che un’unione dei comuni, invece di un piccolo comune, può dotarsi di un buon sistema di pianificazione, può dotarsi di un buon sistema di gestione delle risorse finanziarie e delle risorse umane e può dotarsi di un buon sistema di controllo, cosa che non accade quasi mai nei piccoli comuni ed è fonte di grandi equivoci e anche di ombre rispetto alla gestione trasparente della pubblica amministrazione. Nei piccoli comuni, infatti, vi è l’assenza di strumenti di controllo che siano degni di questo nome. E davanti abbiamo anche il grande tema del rapporto tra pubblico e privato. Un conto è che il privato vada a
spigolare, comune per comune, la gestione di singoli servizi, un conto è che un’unione dei comuni si metta nella condizione anche di una collaborazione moderna tra pubblico e privato, ma dotandosi di tutti quegli strumenti di controllo dei servizi che soltanto la dimensione dell’ente consente di avere. Queste sono le questioni rilevanti che stanno davanti all’opportunità chel’unione dei comuni ci offre.  Per non parlare della gestione dei servizi sociali. La legge n. 328 del 2000 già, parlando degli ambiti sociali, ci spingeva nella direzione della gestione dei servizi sociali in modo associato, capace di coinvolgere il terzo settore, il volontariato. Per non parlare della sicurezza. Lo ripeto: un conto è un vigile urbano polifunzionale, diciamo così, un conto è un corpo di polizia municipale che può essere interlocutore della polizia di Stato, della prefettura, della questura nel servizio di vigilanza del territorio. Per non dire degli uffici
tecnici. Tutti i giorni piangiamo dei disastri territoriali e ambientali: molto dipende dai cambiamenti climatici, ma molto dipende anche dalla pianificazione territoriale e locale. Cosa pensate, che il destino di un territorio dipenda dal recinto stretto di quel piccolo comune? No. È la mancanza di una pianificazione territoriale degna di questo nome di un’area un po’ più vasta, che poi provoca anche quei danni. Si parla anche di questioni fiscali. Oggi, andiamo a reintrodurre l’ICI. Io ho difeso l’ICI dal Governo Prodi, quando il Governo Prodi ne tagliò il 40 per cento. E sono ancora convinto che sia una delle poche, se non l’unica imposta davvero federalista che abbiamo, che merita di essere difesa e reinserita nel nostro ordinamento. Tuttavia, l’ICI ha una controindicazione: può spingere verso la monetizzazione del territorio, cioè verso il far cassa attraverso il territorio. È pericolosa. Allora è necessario avere una gestione urbanistica, la più ampia dal punto di vista del territorio, in modo tale da inserire anche nella pianificazione quelle aree di compensazione, di riserva naturale, che devono, in qualche modo, riequilibrare lo sfruttamento del territorio. Come si fa a tenere queste opportunità insite nelle unioni dentro una logica autonomista che rispetti, quindi, l’identità e l’autonomia dei singoli comuni? Io credo che la strada -lo diceva in conclusione del suo intervento anche il collega Naccarato – sia quella di leggi regionali, leggi regionali che ridisegnino ambiti ottimali dentro ai quali spingere verso l’aggregazione delle funzioni e dei servizi che i comuni devono gestire. In questo senso, anche l’esperienza della federazione, che è più presente ad esempio in una regione come quella veneta, può trovare il suo spazio. Ma io credo che quello sia il luogo giusto dove produrre una legislazione che, nello stesso tempo, rispetti le autonomie e favorisca l’aggregazione della gestione dei servizi e delle funzioni, in modo tale da corrispondere in modo moderno ed adeguato alle domande sempre più qualificate ed esigenti che provengono dai cittadini, dalle persone, dalle famiglie e dalle imprese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).