Disposizioni per la prevenzione e la repressione della
corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione (Approvato
dal Senato, modificato dalla Camera e nuovamente modificato dal Senato)
(C. 4434-B)

Intervento in aula dell’on. Oriano Giovanelli

Signor Presidente, signor Ministro, voglio ringraziare innanzitutto le relatrici, la collega Santelli della I Commissione (Affari costituzionali) e la collega Angela Napoli, e ringrazio senza infingimenti anche i Ministri Patroni Griffi e Severino perché secondo me con il voto su questo provvedimento noi consolidiamo un importante punto di partenza nella lotta alla corruzione nella pubblica amministrazione e per il rafforzamento delle politiche di legalità del nostro Paese.
Sottolineo il punto di partenza perché non c’è dubbio che molto rimane ancora da fare e se toccherà a noi, riteniamo di poter anticipare anche già da ora alcuni punti su cui riterremo di agire con un’azione più incisiva, mi riferisco al tema dell’incandidabilità per reati particolarmente odiosi, al falso in bilancio e ad alcuni aspetti delle prescrizioni per reati contro la pubblica amministrazione, e credo anche che una messa a punto migliore si possa trovare su questa questione dei fuori ruolo, non per una logica persecutoria nei confronti di figure che sono sicuramente al servizio del buon andamento delle politiche dello Stato, ma per la volontà di ricercare sempre e comunque una più netta distinzione di ruoli che è fondamentale per il buon andamento della pubblica amministrazione.
L’iter di questo provvedimento dal punto di vista politico, a mio avviso, rappresenta meglio di qualunque altro il salto di qualità che abbiamo fatto su questa materia dal momento in cui, un anno fa, siamo andati al superamento del Governo Berlusconi e nello stesso tempo dimostra meglio di qualsiasi altro esempio come sia difficile, con maggioranze spurie come quelle che sorreggono un Governo di questa natura, approvare delle riforme che abbiano un’identità, una radicalità più corrispondenti alle aspettative che, su un terreno come questo, vengono, in modo sempre più esplicito, da parte della società civile e dell’opinione pubblica.
Se si vogliono approvare riforme forti, ci vogliono maggioranze politiche, e credo che questa vicenda ce lo dimostri in modo inequivocabile, ma – lo dico con soddisfazione e non con rammarico – abbiamo qualche anno di vita politica sulle spalle per dire che quello che conta è il senso di marcia delle decisioni che si vanno a prendere, e non ho il minimo dubbio sul fatto che il provvedimento in discussione per la sua approvazione definitiva – non ci urta il fatto che sia stata annunciata la richiesta del voto di fiducia, una volta tanto anzi lo salutiamo come una fatto positivo – va nella direzione giusta e colma un ritardo più che decennale che sta nella responsabilità del Parlamento di non aver saputo colmare mentre il fenomeno della corruzione diventava sempre di più qualcosa di diverso da un fenomeno ascrivibile soltanto all’etica dei comportamenti e sempre di più un fattore discriminante della competitività economica del nostro Paese, talché gli osservatori internazionali guardano al nostro Paese dal punto di vista della sua capacità di imprimere un cambiamento proprio su questi aspetti della nostra vita pubblica, politica e amministrativa.
Ho detto e ripeto: se verrà posta la questione di fiducia, come abbiamo sentito, per noi non ci sono problemi, anzi riteniamo che sia un fatto positivo dal momento che così avremo uno slancio maggiore e un tempo maggiore per metterci al lavoro per la redazione di tutte Pag. 13quelle norme delegate che il provvedimento contiene. Va da sé che anche noi sottolineiamo con la massima forza il fatto che non si possa andare alle elezioni politiche della primavera prossima, senza aver approvato almeno i decreti delegati previsti da questo provvedimento sulla incandidabilità, che noi avremmo voluto più incisiva e più cogente già dal momento stesso in cui veniva approvato il provvedimento. Questo non è stato possibile, ma che almeno i decreti delegati vengano tempestivamente varati e approvati. Ce ne sono anche tante altre di norme regolamentari attuative di questo provvedimento che vedranno impegnati il Governo, le Commissioni parlamentari e la struttura amministrativa del nostro Paese e credo che non bisogna assolutamente perdere tempo e mettersi al lavoro per dare seguito, concretezza e attuazione a questo provvedimento.
Credo che questo slancio e questo impegno attuativo che bisognerà mettere nei mesi prossimi relativamente al provvedimento che stiamo approvando, ci debba suggerire un altro concetto importante, che vale adesso per questo tema, ma vale per tante altre materie che riguardano la pubblica amministrazione. Non esiste un’«ora X» per la quale con una bacchetta magica noi interveniamo sulla pubblica amministrazione ed eliminiamo la corruzione. Esiste un complesso di politiche che devono agire sulla pubblica amministrazione con continuità, e il tema della continuità dell’azione sulla pubblica amministrazione per prevenire questi fenomeni è decisivo. Per questo non capisco, se non per una strumentalità politica che, secondo me, va al di là del ragionevole, questo gioco «al più uno», che rischia di non farci cogliere neanche i risultati maturi che questo provvedimento ci consegna, e che ci ha già fatto perdere troppo tempo rispetto al tempo che sarebbe stato sufficiente per approvare un provvedimento di questo tipo.

Intervento in Aula della relatrice on. Donatella Ferranti (Pd)

Signor Presidente, finalmente, forse, siamo arrivati alla fine di questo lungo iter legislativo del disegno di legge che è stato presentato nel maggio 2010 da Alfano e Brunetta e che è stato completamente riscritto dalle Commissioni giustizia e affari costituzionali della Camera; sicuramente un notevole contributo in questo senso lo hanno dato i Ministri Severino e Patroni Griffi.

Naturalmente noi del Partito Democratico rivendichiamo il lavoro svolto nelle Commissioni; siamo consapevoli dei molti punti positivi raggiunti e delle carenze del provvedimento, che abbiamo cercato di colmare fino alla fine, presentando emendamenti volti ad alzare i minimi e i massimi di pena per i reati più gravi, abbassare i limiti cui ricollegare le pene accessorie (l’interdizione dai pubblici uffici, l’estinzione del rapporto di pubblico impiego), inserire il reato di autoriciclaggio, la modifica del reato di voto di scambio, la reintroduzione del falso in bilancio, ma il testo così com’è oggi e su cui ci sarà il voto è quello che ha raggiunto il massimo di mediazione politica possibile.
Rivendichiamo di non avere accettato alcuna modifica al ribasso del testo Severino, nessuna modifica che ne indebolisse la portata, perché l’impianto della riforma – lo sappiamo e rivendichiamo che si tratta di un testo equilibrato – costituisce comunque un passo avanti nella lotta alla corruzione.

A chi, in questi giorni, in questi mesi, ha sollevato un mare di critiche a questo provvedimento, a chi demagogicamente chiede che le nuove misure anticorruzione si fermino e siano affossate in un binario morto, voglio ricordare che non si può non tenere conto che la giustizia è stato un tema profondamente divisivo, il più divisivo degli anni che abbiamo alle spalle; che questo è il Parlamento che, fino a qualche mese fa, ha sostenuto il Governo Berlusconi; che la prima parte di questa legislatura è stata costellata da leggi ad personam che noi abbiamo fermamente combattuto; che oggi, invece, si può discutere di un testo contro la corruzione e del rigore di alcune norme che ci sono, e credo che comunque questo sia già, di per sé, un passo avanti della politica molto significativo anche per il futuro del nostro Paese.

Ecco quindi che con coerenza e coraggio noi difendiamo questo testo che è all’esame dell’Aula. Lo difendiamo sapendo che è indispensabile approvare nuove norme contro la corruzione proprio per uscire dalla crisi economica, proprio per fronteggiarla, proprio per aiutare la crescita e lo sviluppo. Finalmente ci è consentito adempiere agli impegni internazionali assunti dallo Stato italiano; ci si allinea sotto vari aspetti ai meccanismi di contrasto già utilizzati nella maggior parte dei Paesi.

Non possiamo tollerare i ritardi – lo sappiamo tutti -, perché, in un momento come quello che stiamo vivendo e considerando la forte criticità dell’economia, sarebbe da irresponsabili non porre un argine effettivo alla corruzione, che non solo mette a rischio la legalità, ma pesa sull’economia per 70 miliardi di euro l’anno e pesa, quindi, su ogni cittadino.
La corruzione criminale, privata e pubblica, è ormai divenuta un fenomeno endemico, che influenza la società nel suo complesso nel nostro Paese. Anche il nostro sistema repressivo penale è diventato inadeguato. Lo evidenziano i dati forniti dall’ISTAT, che proprio da ultimo sono stati pubblicati: il numero delle persone coinvolte nei reati denunciati per corruzione e concussione, in crescita dal 1992 al 1995, si è ridotto progressivamente negli anni successivi; nel 2010 vi sono stati 88 casi di reati consumati e 595 persone denunciate, nel 2006 solo 239 condanne e nel 2008 solo 46 condannati. Ma questo che vuol dire? Non vuol dire che vi è stata una diminuzione del fenomeno, anzi, si ha la percezione che la sua reale diffusione sia in crescita e le ultime rilevazioni compiute da Trasparency International collocano l’Italia al 69o posto, insieme al Ghana e alla Macedonia, con un progressivo aggravamento della corruzione percepita negli ultimi anni, nonostante l’impegno costante delle forze di polizia e della magistratura. La corruzione non è stata debellata, anzi si è intensificata, con un grado di sommersione e di collegamento con la criminalità organizzata e intrecci perversi tra società politica e società civile che hanno invaso i gangli del Paese.

Combattere la corruzione è diventata, oggi, una parola d’ordine sulla bocca di tutti, anche se bisognerebbe saper stigmatizzare i moralizzatori a scoppio ritardato. Ora, però, è venuto il momento di superare ogni freno, ogni limite, fare almeno i primi passi concreti per una politica di contrasto integrato – come ha detto prima il collega Giovanelli – e coordinato del fenomeno corruttivo, che sia volta non solo a rafforzare gli interventi e i rimedi di tipo repressivo penale, ma anche a introdurre strumenti di prevenzione volti a incidere sulle occasioni di corruzione e sui fattori che ne favoriscono la diffusione. Questo provvedimento contiene questi aspetti, contiene queste linee.
L’atteggiamento di chi fortemente critica il testo dovrebbe comportare una seria responsabilità politica, in quanto si traduce in un tentativo di affossare un provvedimento che, per quanto non sia quello ideale, è comunque diretto ad affrontare la grave questione del dilagante fenomeno della corruzione in Italia. Il testo è sicuramente un passo avanti nella lotta contro la corruzione, che ha bisogno non soltanto di norme repressive – lo abbiamo detto -, ma anche di misure preventive.
Lascia molto perplessi, quindi, il gioco al massacro che alcune parti politiche hanno ritenuto di fare in questi ultimi giorni, che bene non si riesce a comprendere se non per scopi propagandistici ed elettorali contingenti, che non hanno nulla a che fare con la volontà vera di approvare misure anticorruzione.

Una cosa è certa: dal punto di vista della repressione penale il testo mantiene il reato di concussione (articolo 317 del codice penale) e lo punisce più gravemente, perché da un minimo di quattro si passa a un minimo di sei anni e il massimo è invariato a dodici, per il pubblico ufficiale che costringa a dare o a promettere denaro o altra utilità. In questo caso chi paga è vittima oggi, resta vittima non punibile dopo l’approvazione di questo disegno di legge. L’induzione a dare o promettere, invece, diventa un altro reato, diventa un reato distinto, autonomo, e il privato indotto verrà punito, per i fatti commessi successivamente all’entrata in vigore della legge, fino a tre anni. Chiediamoci la vera ragione di questa scomposizione: non certo per favorire qualche imputato, come è stato detto in maniera del tutto falsa e del tutto scorretta, perché si risponde alle numerose sollecitazioni dell’OCSE del 1997 e, da ultimo, a quelle della Commissione GRECO del rapporto 2012.

Gli organismi internazionali sono preoccupati del pericolo che il privato, che è stato indotto a pagare o a promettere, sfugga alla punizione, assicurandosi il ruolo di vittima, di parte offesa e testimone, anziché imputato, pur avendo avuto un margine di scelta, pur avendo potuto non accettare di pagare le mazzette. È questo il punto: pur avendo avuto un margine di scelta, pur non avendo subìto alcuna minaccia, ha comunque deciso di pagare, accettando invece di assicurarsi un vantaggio per profitti personali.
Ecco perché abbiamo accettato la soluzione proposta nel testo: nessuna abrogazione, nessuna norma di favore per nessun imputato, solo la necessità di intervenire con fermezza per spezzare, con un intento di politica criminale che spetta al legislatore adottare, il fenomeno corruttivo, non avallando posizioni di comodo, anche processuali, e dando seguito agli impegni internazionali.


Si tratta di uno strumento – lo ripetiamo – sicuramente migliorabile, ma che si pone in concreto contrasto rispetto a quella che, in maniera efficace, è stata definita la «corruzione della mentalità», basata sul disprezzo delle regole che alimenta il malaffare nei poteri pubblici.

Alcune volte, ci viene domandato del ruolo dell’Europa: ricordo che l’Europa non ci chiede, in base alla Convenzione del 1999, di modificare il reato di concussione, ma ci chiede di introdurre misure più efficaci contro la corruzione. Perché non ce lo chiede l’Europa? Non perché la formulazione attuale sia generalmente condivisa, quanto piuttosto perché tale reato è previsto solo in Italia, così com’è configurato oggi, in quanto colui che noi consideriamo concusso in Europa è considerato sempre e comunque un concussore.

Quindi, la distinzione tra concussione per costrizione e concussione per induzione ha una funzione pedagogica in un Paese che è abituato, alcune volte, a compiangersi un po’ troppo e in un mondo in cui non bisogna avere giustificazioni quando si violano le regole. Questa è una scelta che impone un impegno sul piano della politica criminale di cui bisogna farsi carico senza paure, con coraggio, pronti a modificarla, pronti a migliorarla, pronti a monitorarne gli effetti, ma un dato è certo: ad oggi, come è stato verificato recentemente con i dati sull’andamento della prevenzione, ma anche della repressione penale, il sistema attuale penale non funziona, e non funziona adeguatamente rispetto alle aspettative e al dilagare del fenomeno corruttivo.

Altre sono state le critiche che sono state ripetute anche dai colleghi qui in Aula riguardanti il tema della prescrizione, che si dice non sia stato adeguatamente affrontato nel provvedimento che si sta qui esaminando. Ma su questo punto vorrei ricordare, con orgoglio, che l’esigenza di intervenire sulla disciplina della prescrizione del reato al fine di eliminare gli effetti negativi derivanti dalla legge ex Cirielli, approvata nel 2005, è stata posta dall’inizio di questa legislatura solo dal Partito Democratico, che l’ha indicata tra le priorità in materia di giustizia e che ha ottenuto, quando ancora era all’opposizione, che la propria proposta venisse messa in quota all’ordine del giorno della Commissione giustizia.

Forse i tempi non erano maturi, forse non c’era una condivisione, eppure all’epoca quell’iter legislativo si è fermato, perché non vi è stata adesione di nessun’altra forza politica e, anzi, sono iniziate in quel periodo le proposte che venivano dal PdL riguardanti il processo lungo e la prescrizione ancora più breve. Questo non vuol dire nulla, ma vuol dire che bisogna continuare, che non era il momento opportuno e non era il momento propizio, ma certamente dire che qui non si sia voluto, da parte della nostra forza politica, affrontare il tema credo non faccia onore a chi ha vissuto i momenti che sono stati determinanti di questa legislatura.

Certo è che il tema della prescrizione non poteva essere risolto solo per i reati contro pubblica amministrazione. Noi abbiamo presentato degli emendamenti in questo senso: abbiamo chiesto il raddoppio dei termini della prescrizione e abbiamo chiesto comunque la sospensione dei termini dopo la sentenza di primo grado. Ma comunque, in merito al problema della prescrizione del reato, gli effetti nefasti – lo ripeto – derivano da una legge, la legge cosiddetta ex Cirielli, che oggi tutti criticano, ma che in realtà è stata approvata nel 2005, quando al Governo mi pare ci fosse sempre la maggioranza PdL e Lega, quindi qualcuno che oggi – ho sentito anche il collega Paolini ed altri – ci viene a dire che qui mancano alcuni interventi. Allora siamo ben lieti che, a un certo punto, ci si renda conto degli effetti nefasti di quelle modifiche legislative, soprattutto nei confronti di reati di così difficile accertamento, come i reati contro la pubblica amministrazione, che si consumano nel momento in cui vi è l’accordo, in cui vi è la dazione di denaro, in cui vi è la minaccia, e quindi sono di difficile accertamento, mentre il tempo per la prescrizione del reato comincia a decorrere subito, anche prima che il reato venga scoperto, e continua a decorrere nonostante che il processo vada avanti nei tre gradi di giudizio.
Ma quella riforma sulla prescrizione, che sarà uno dei nostri punti programmatici, lo è stato prima e lo continuerà ad essere, non si è potuta affrontare proprio perché la maggioranza di sostegno di questo Governo è una maggioranza che deriva sempre da una situazione politica di difficile equilibrio. Non si è potuto, ma non per questo non si vuole affrontare anche in altra sede e, se siamo pronti, anche adesso. Quindi, continuare a ripetere vecchi copioni di una recita che ormai non può incantare più nessuno credo che non faccia bene alla politica. Credo che tutti gli episodi di grave distorsione della politica che sono emersi in questi ultimi tempi debbano richiamare alla responsabilità, alla coerenza, al dovere di lealtà: la lealtà nei confronti delle altre forze politiche e la lealtà nei confronti dei cittadini.

Credo comunque che, dopo un periodo, dopo un momento, dopo varie fasi in cui scontri molto forti si sono avuti sulla giustizia, l’essere riusciti e riuscire a varare un testo di norme significativo, sia pure migliorabile, per contrastare la corruzione e gli altri mali del nostro Paese ha un forte significato politico che non può essere trascurato, soprattutto dopo l’emergere degli scandali che hanno dominato la cronaca di questo ultimo periodo, e che giustifica anche il nostro impegno nel sostenere questo provvedimento, affinché possa essere l’inizio di un percorso per la ricostruzione del buon governo e della legalità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

sintesi Ddl anticorruzione

Il d.d.l. anticorruzione, approvato con modificazioni dal Senato il 17 ottobre 2012 e di nuovo all’esame della Camera (AC 4434-B),

a) reca misure volte a prevenire e reprimere la corruzione e l’illegalità nella p.a.;

b) introduce nel codice penale importanti modifiche alla disciplina dei reati contro la pubblica amministrazione.

I principali profili del provvedimento, contenuti nell’art. 1, sono i seguenti:

a) con riguardo alla prevenzione e repressione della corruzione nella p.a.:

§  è individuata nella Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (Civit) l’Autorità nazionale anticorruzione (il ruolo è, attualmente, ricoperto dal Dipartimento della funzione pubblica);

§  sono dettate specifiche misure volte alla trasparenza dell’attività amministrativa, compresa l’attività relativa agli appalti pubblici e al ricorso ad arbitri, e nell’attribuzione di posizioni dirigenziali oltre a misure per l’assolvimento di obblighi informativi ai cittadini da parte delle pubbliche amministrazioni;

§  è dettata una più stringente disciplina delle incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi di dipendenti pubblici ed è affidata al Governo la definizione di un codice di comportamento dei pubblici dipendenti e degli illeciti e delle sanzioni disciplinari relative ai termini dei procedimenti amministrativi;

§  è delegato il Governo all’adozione entro un anno di un testo unico in materia di incandidabiltà e di divieto di ricoprire cariche elettive e di governo a seguito di condanne definitive per delitti non colposi;

§  è prevista la tutela del pubblico dipendente che denuncia o riferisce condotte illecite apprese in ragione del suo rapporto di lavoro;

§  sono elencate le attività d’impresa particolarmente esposte al rischio di infiltrazione mafiosa ed è istituito presso ogni prefettura l’elenco dei fornitori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa;

§  è incrementato il catalogo dei reati alla cui condanna consegue, per l’appaltatore, la risoluzione del contratto con una pubblica amministrazione;

§  è previsto un obbligo di adeguamento per Regioni ed enti locali;

§  è prevista una più restrittiva disciplina del “fuori ruolo” per i magistrati e gli avvocati dello Stato;

§  è reso più incisivo il giudizio di responsabilità amministrativa nei confronti del dipendente pubblico che ha causato un danno all’immagine della p.a.;

§  sono dettate nuove cause ostative alle candidature negli enti locali e nuovi casi di decadenza o sospensione dalla carica;

§  sono previste misure organizzative da parte delle amministrazioni in caso di rinvio a giudizio di un dipendente per concussione per induzione;

§  è disciplinato il collocamento fuori ruolo dei magistrati;

§  è modificato il procedimento di revoca dei segretari comunali.

b) con riguardo alle modifiche al codice penale, oltre ad un complessivo aumento delle pene e alle modifiche processuali di coordinamento:

§  il reato di concussione (art. 317) diventa riferibile al solo pubblico ufficiale (e non più anche all’incaricato di pubblico servizio) e non è più prevista la fattispecie per induzione, oggetto di un autonomo reato;

§  l’attuale reato di cui all’art. 318 relativo alla cd. corruzione impropria del pubblico ufficiale (Corruzione per un atto d’ufficio), ora rubricato “corruzione per l’esercizio della funzione”, viene riformulato in modo da rendere più evidenti i confini tra le diverse forme di corruzione: da una parte, la corruzione propria di cui all’art. 319, che rimane ancorata alla prospettiva del compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio; dall’altra, l’accettazione o la promessa di una utilità indebita, da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, che prescinde dall’adozione o dall’omissione di atti inerenti al proprio ufficio,avendo ad oggetto la  generica funzione o qualità che viene asservita ad  assicurare al corruttore protezione nei suoi rapporti con la P. A.;

§  è aggiunto al codice il nuovo art. 319-quater, con il delitto di “Induzione indebita a dare o promettere utilità” (cd. concussione per induzione), che punisce sia il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che induce il privato a pagare (reclusione da 3 a 8 anni) sia il privato che dà o promette denaro o altra utilità (reclusione fino a 3 anni);

§  è inserito nel codice il delitto di “Traffico di influenze illecite” (nuovo art. 346-bis) che sanziona con la reclusione da 1 a 3 anni chi sfrutta le sue relazioni con il pubblico ufficiale al fine di farsi dare o promettere denaro o altro vantaggio patrimoniale come prezzo della sua mediazione illecita. La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette (qui il pubblico agente corrotto si impegna non già ad adottare un atto del proprio ufficio ma a far valere il suo peso  istituzionale sul pubblico agente competente all’emanazione dell’atto esercitando un’attività di influenza );

§  risulta riformulata l’attuale fattispecie di cui all’art. 2635 del codice civile (Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità), ora denominata “Corruzione tra privati” e riferita alle infedeltà nella redazione dei documenti contabili societari;

§  la responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche è adeguata alle nuove fattispecie.

Il testo approvato dalla Camera (art. 3, comma 5) ha previsto, novellando l’art, 241 del Codice degli appalti (D.Lgs 163/2006), che le controversie sui diritti soggettivi derivanti dall’esecuzione di appalti pubblici, comprese quelle derivanti dal mancato raggiungimento di un accordo bonario tra le parti, possano essere risolte con un arbitrato soltanto previa autorizzazione dell’organo di governo della pubblica amministrazione; in mancanza dell’autorizzazione, sia il ricorso ad arbitri che l’inclusione della clausola compromissoria nel bando o avviso- invito di gara sono nulli. Il successivo comma 6 dell’art. 3 ha esteso tale disciplina autorizzatoria anche agli analoghi contenziosi in cui sia parte una società a partecipazione pubblica o che comunque abbiano ad oggetto opere o forniture finanziate con risorse a carico di bilanci pubblici.

Il testo approvato dal Senato (art. 1, comma 20) ha esteso ulteriormente alle società controllate o collegate ad una società partecipata pubblica (di cui all’art. 2359 c.c.) l’obbligo di previa autorizzazione motivata all’arbitrato da parte dell’”organo di governo.”

Il comma 34 riguarda l’ambito applicativo delle disposizioni in materia di trasparenza amministrativa (commi da 15 a 33 dell’art. 1). Il testo approvato dalla Camera riferiva tali disposizioni a tutte le p.a., agli enti pubblici nazionali nonché alle società partecipate dalle p.a., limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’UE. La modifica del Senato aggiunge le società controllate ex art. 2359 c.c. alla lista dei destinatari della disposizione.

Incompatibilità dei dipendenti pubblici

 

Inoltre, il Senato ha modificato il nuovo comma 16-ter dell’art. 53  del TU sul pubblico impiego (D.Lgs 165/2001). La norma, nel testo approvato dalla Camera, stabilisce, per i dipendenti che negli ultimi tre anni di servizio hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle P.A. che essi non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della P.A. svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di tali previsioni sono nulli; è vietato ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni; è, infine, prevista la restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti.

Il testo della norma approvata dal Senato precisa, meno genericamente, l’obbligo di restituzione dei citati compensi.

·         Norme in materia di collocamento fuori ruolo dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili e degli avvocati e procuratori dello Stato

L’articolo 1, commi da 66 a 74, concerne una nuova disciplina del collocamento fuori ruolo dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili (cui sono stati aggiunti dal Senato i magistrati militari) e degli avvocati e procuratori dello Stato.

Nel testo approvato dalla Camera (art. 18), tale disciplina stabiliva che i magistrati potessero prestare servizio in posizione di fuori ruolo, o in un’altra analoga posizione, per non più di cinque anni consecutivi e, nel corso dell’intera carriera, per un tempo massimo complessivo di dieci anni; che i ricollocati in ruolo non potessero essere nuovamente collocati fuori ruolo se non avessero esercitato continuativamente ed effettivamente le proprie funzioni per almeno cinque anni; che il collocamento fuori ruolo non potesse determinare alcun pregiudizio relativo al posizionamento nei ruoli di appartenenza nonché che il magistrato fuori ruolo mantenesse, nel nuovo incarico, esclusivamente il trattamento economico fondamentale dell’amministrazione di appartenenza, compresa l’indennità, rimanendo a carico della stessa i relativi oneri.

L’articolo 18, infine, precisava la prevalenza della nuova disciplina su ogni normativa speciale, nonché la sua applicazione agli incarichi già conferiti alla data della sua entrata in vigore.

Il testo approvato dal Senatointeramente sostitutivo – introduce l’obbligo per i citati magistrati ed avvocati e procuratori dello Stato con funzioni apicali o semiapicali (compresi i capi di gabinetto) presso istituzioni, organi ed enti pubblici, nazionali ed internazionali, di essere collocati fuori ruolo per tutta la durata dell’incarico. In mancanza di provvedimento di collocamento fuori ruolo nei 180 gg successivi all’entrata in vigore della legge, gli incarichi in corso cessano di diritto.

Sarà inoltre il Governo, attraverso l’esercizio di una delega – di cui sono stabiliti principi e criteri direttivi a individuare, entro 4 mesi, eventuali ulteriori incarichi per cui sarà obbligatorio il collocamento fuori ruolo. I principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega sono la specificità di regimi e funzioni, la durata dell’incarico, l’impegno lavorativo del medesimo, i possibili conflitti d’interesse.

Viene confermata in 10 anni la durata massima delle attività fuori ruolo, ma è introdotta un’eccezione per chi ha incarichi di Governo od elettivi, presso organi di autogoverno (come il CSM) e corti internazionali. Per i magistrati destinati a funzioni non giudiziarie presso la Presidenza della Repubblica, la Corte costituzionale ed il C.S.M. resta il termine massimo di 10 anni, che scatterà dall’entrata in vigore della legge, anche se gli incarichi sono stati conferiti dopo tale data; il magistrato con un altro incarico in corso all’entrata in vigore della legge che abbia già maturato il termine decennale (o lo maturerà successivamente), è confermato nel fuori ruolo fino alla scadenza naturale della legislatura, del mandato, della consiliatura, ecc.. Se l’incarico non ha un termine prefissato, il collocamento fuori ruolo è confermato per i 12 mesi successivi all’entrata in vigore della legge.

E’ stata soppressa dal Senato la citata previsione dell’art. 18 (comma 2) per la quale i fuori ruolo mantengono solo il trattamento economico fondamentale dell’amministrazione di appartenenza (cui spettano i relativi oneri), compresa l’indennità. Dalla nuova disciplina transitoria introdotta, deriva la soppressione del comma 3 dell’art. 18 del testo Camera, che recava la clausola di prevalenza delle nuove disposizioni su ogni altra norma, anche speciale, e prevedeva l’applicabilità anche agli incarichi in corso.

Infine, è previsto che entro un anno dall’entrata in vigore del decreto legislativo il Governo possa adottare disposizioni integrative e correttive.

 

·         Traffico di influenze illecite

Il testo dell’art. 19 approvato dalla Camera introduce nel codice penale il nuovo reato di traffico di influenze illecite” (articolo 346-bis) che, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318 e 319  (corruzione propria e impropria) e 319-ter (corruzione in atti giudiziari), punisce con la reclusione da uno a tre anni chi, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o  un incaricato di pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale come prezzo della propria mediazione illecita ovvero per remunerare il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale. Sono previste aggravanti e attenuanti speciali.

Tale norma è stata modificata dal Senato.

L’art. 1, comma 75, lett. r), infatti: a) configura la possibilità del concorso del reato di traffico di influenze illecite con la corruzione impropria (art. 318 c.p., corruzione per l’esercizio della funzione) che non compare più nella clausola “fuori dei casi…”; b) precisa che la mediazione illecita è “verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio”; esplicita che la condotta deve essere in relazione alcompimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto dell’ufficio del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio.

§  (Corruzione tra privati)

La nuova norma sostituisce all’attuale fattispecie di cui all’articolo 2635 del Codice civile (‘Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità’) con quella di ‘Corruzione tra privati’.

La disposizione prevede che siano puniti con la reclusione da uno a tre anni gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori che, compiendo od omettendo atti in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionano nocumento alla società.

E’ stabilita l’applicazione della pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al precedente comma.

Il nuovo art. 2635 prevede, poi, che il soggetto che dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate sia punito con le pene ivi previste. La norma infine, statuisce che le pene sopradindicate siano raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs n. 58/1998).

Il testo approvato dal Senato (art. 1, comma 76), senza modificare la fattispecie penale ex art. 2635 c.c., approvata dalla Camera, ha introdotto la procedibilità a querela della corruzione tra privati; si procede tuttavia d’ufficio quando dall’illecito derivi una distorsione della concorrenza nell’acquisizione di beni e servizi.

Si segnala, inoltre, che nel corso dell’esame al Senato presso le Commissioni riunite I e II, il Governo ha accolto, il 9 ottobre 2012, l’ordine del giorno G/2156-B/2/1 che lo impegna ad esercitare entro un mese la delega (che il d.d.l. prevede come annuale) per l’adozione del citato testo unico in materia di incandidabiltà e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo.