Faccio spesso una battuta: da Sud è sempre venuta la civiltà da Nord la barbarie. Più che una battuta, è un sentimento, con qualche buona ragione storica.
Io amo la Sicilia e tutto il Sud. Mi piace raggiungerla con un lungo viaggio in auto perché così ho la possibilità di attraversare paesaggi e umori delle diverse regioni. Trovo per nulla scomodo attraversare lo stretto salendo sul traghetto delle Ferrovie dello Stato a Villa San Giovanni, anzi è un fascino ulteriore che si aggiunge al viaggio. Ma io ci vado in vacanza, in agosto e non ho fretta.
E c’è una domanda provocatoria che faccio a me stesso e che ora esplicito : perché noi di sinistra siamo d’accordo sul progetto di alta velocità Lione – Torino e invece contrari al ponte sullo stretto di Messina?
Lascio perdere che ce lo chiede l’Europa perché con tutto quello che ci chiede… Anche se è vero: la TAV è cofinanziata da fondi europei per il 40%. Ma non è una buona notizia, o meglio è una buona notizia solo per chi ha una idea di Europa tutta continentale, tutta franco-tedesca, una Europa che il Mediterraneo neppure lo vede.
Provo ad anticipare alcune risposte che mi do: perché la Lione-Torino collega la parte dinamica della nostra economia, il Nord del nostro paese, alla locomotiva economica europea che sta ancora più a Nord, mentre il ponte sullo Stretto cosa collegherebbe se non una regione arretrata come la Sicilia ad una ancora più arretrata come la Calabria. Perché la Lione-Torino si inserisce in un organico sistema infrastrutturale, una rete di autostrade e ferrovie che già funziona, mentre invece venendo dalla Salerno – Reggio Calabria e scavalcando lo stretto con un avveniristico ponte (mica tanto poi, visto quello che hanno fatto in Cina!) ci si ritrova a connettersi con le deficitarie strade e le inesistenti ferrovie della Sicilia. Perché il costoso ponte sullo Stretto sarebbe un boccone fin troppo ghiotto e facile per gli affari della mafia e della ‘ndrangheta, mentre invece la Torino-Lione insiste su un terreno virtuoso di sabauda memoria. E qui non so se mi viene di nuovo da ridere o mi devo mettere a piangere.
Mi pare evidente che non serva nemmeno pensarci troppo per dimostrare che queste risposte non stanno né in cielo né in terra. Se vi è un problema italiano enorme, complesso ma assolutamente prioritario, è dare una spinta alla crescita economica e civile del Sud. Evidentemente un investimento infrastrutturale che risolvesse una strozzatura delle comunicazioni fra la più grande isola del paese, cuore delle possibili relazioni nel Mediterraneo, e il continente sarebbe almeno importante quanto la Lione -Torino. Com’ è evidente che un modo per accelerare la soluzione dei problemi infrastrutturali della Sicilia e della Calabria è quello di dargli una spinta forte proprio togliendo un tappo; infine alla favoletta che la mafia e l’ ‘ndragheta sarebbero operative solo al Sud per fortuna non ci crede più nessuno. Come diceva Falcone bisogna seguire il flusso dei soldi per capire dove va la mafia, infatti è al Nord che ogni tanto vanno misteriosamente a fuoco mega centri di raccolta dei rifiuti, è la Lombardia una dei maggiori centri della malavita organizzata semplicemente perché è al Nord che ci sono i soldi.
Voglio chiarire che io prendo a pretesto questa palese contraddizione della sinistra nazionale per provare a fare un discorso più ampio. Se ci penso bene personalmente sono dubbioso/contrario ad entrambe le opere, anche se conservo in un angolo del cervello l’ammirazione per i grandi progetti di ingegneria che rimangono nel tempo e galvanizzano lo spirito dei popoli. Sono anch’ io figlio dell’illuminismo e soprattutto uomo del ‘900. Temo che siano opere fuori tempo massimo. Andiamo inesorabilmente e molto velocemente verso un tempo in cui la distribuzione del lavoro nel pianeta e la finitezza della natura imporranno nei paesi come il nostro una alternativa secca fra hard economy e soft economy, fra manifattura a basso contenuto tecnologico e sviluppo ad alto tasso di innovazione. E queste opere come tante altre previste nel nostro paese parlano ad un tempo già probabilmente andato.
Poi, e per me questo è rilevantissimo, in una lettura “globale e locale” del mondo e dei suoi fenomeni, non tenere conto delle comunità locali e del loro esplicito punto di vista, passare sopra ad ogni percorso di costruzione condivisa delle scelte sia che si dica Sì sia che si dica No, significa assecondare una piegatura autoritaria del processo democratico di decisione politica.  Si finisce per mettere sugli scudi sempre e solo l’economia di cui la politica non ha più il controllo e si spingono le comunità verso reazioni segnate dalla rassegnazione o dal ribellismo localista.
Una piegatura autoritaria dei processi decisionali sempre più frequentemente cala sulle popolazioni, sulle comunità, siano esse inserite in un sistema liberista sia in un sistema a capitalismo di stato.
Sono esempi paradigmatici di un problema più grande emerso già da qualche anno ad opera dei militanti No-Global. La sinistra storica sembra non vedere questa deriva autoritaria o se volete non sa dipanare la crisi in cui entra il processo democratico nel cortocircuito fra interessi economici e comunità locali. Davanti alle scelte complesse indotte dai fenomeni globali, non riesce ad essere un agente di un nuovo umanesimo, di una democrazia forte, ma diventa parte del problema che possiamo chiamare disumanizzazione della politica o se volete subalternità della politica agli interesse economici prevalenti.
Tornando alla mia domanda provocatoria. La verità è a mio avviso che la sinistra, insegue supinamente la destra, il modello dominante in Europa e certa cultura economica nazionale , ed ha ancora negli occhi solo un tipo di modello di sviluppo, quello del Nord Italia e del Nord Europa. Ha ormai abbandonato completamente qualsiasi seria riflessione sul Mezzogiorno sulle sue potenzialità specifiche e ancora di più non riesce più ad avere una strategia euro-mediterranea.
Nella penuria di risorse anche la sinistra preferisce alimentare la presunta locomotiva nazionale nella illusione che poi i vagoni più arretrati si collegheranno e ne verrà un beneficio nazionale. E’ dal 1861 che si dice e ridice questa colossale cavolata. Ora, non è chi non veda che questo beneficio invece si traduce in un incremento della migrazione dal Sud di denari e delle sue migliori risorse umane, dell’impoverimento delle sue università oltre che in un indice di povertà assoluta e di inoccupazione giovanile abnorme.
Che quella del Nord poi sia una locomotiva è tutto da dimostrare stante che in gran parte svolge il ruolo di vagone di coda della vera locomotiva che è quella tedesca la quale con il controllo di marchi e brevetti ormai egemonizza il nostro Nord. Molti denari frutto del lavoro e dell’ingegno dei nostri concittadini del Nord scivolano nelle tasche di paesi UE più forti o più vantaggiosi per banditesce ragioni fiscali, e su questo, bene che vada si fa finta di non vedere.
Si può essere dunque contrari al ponte sullo stretto e ritenere che questa posizione sia d’interesse del Sud? Si. Basta avere in mente un altro modello di sviluppo e soprattutto cercare il futuro di Sicilia e Calabria in altri filoni di interesse economico volgendo lo sguardo a Sud e non a Nord.
Però allo stesso modo senza che questo meni scandalo si può essere contrari, anzi ancora di più contrari alla TAV.
A questa Europa del Sud Italia non importa nulla, una palla al piede e niente più. Se potesse trasformarlo in un enorme CAS per tenere in semiprigionia i migranti lo farebbe senza indugio. Lo ha fatto con la Turchia senza il minimo scrupolo. A questa Europa la secessione di fatto già maturata e consolidata del nostro Nord dal il resto del paese va più che bene.
Il dramma è che anche le forze economicamente dominanti in Italia hanno ormai accettato questo dato. Per queste il Sud è irrecuperabile e se si sta espandendo verso l’Umbria e le Marche cosa volete che sia. La Cassa per il Mezzogiorno non operava forse già nella provincia di Ascoli Piceno? E non erano le menti più illuminate della sinistra liberale a chiedere a inizio ‘900 che le Marche fino a Pesaro rientrassero negli interventi speciali previsti per il Sud?
Lo ha accettato anche la sinistra? Alla prova dei fatti oggi direi di Sì.
Siamo stati facili profeti nei decenni scorsi rispondendo agli avversari di una idea federalista per l’Italia, che senza il federalismo la secessione del Nord dal resto del paese sarebbe avvenuta di fatto e non di diritto attraverso il sistema economico, con l’aggravante che la Repubblica non avrebbe avuto gli strumenti per governare questo processo e non avrebbe potuto cercare di dare modo alle regioni in maggiore difficoltà di godere di misure di riequilibrio strutturale come del resto è previsto dall’art.119 della Costituzione, ovvero uno dei più disattesi articoli della Carta.
Il dato nuovo è che l’ Europa egemonizzata dalle forze della destra che abbiamo conosciuto sta crollando e quelle che vengono avanti per l’Italia possono essere pure peggiori.
La loro ascendenza sulla Lega ( non a caso Salvini ha pensato bene di lasciare lo spadone di Alberto da Giussano sul simbolo, toglierlo avrebbe significato segare il ramo dove è seduto) che ha il suo fortissimo radicamento nelle regioni del Nord rafforzerà ancora di più l’azione ricattatoria tesa a piegare gli interessi nazionali alle dinamiche economiche del Nord lasciando il Sud al suo destino. Cito a proposito il dibattito sul decreto Dignità con la ola per la non cancellazione dei voucher e quello sul reddito di cittadinanza con il pensiero egemone profuso anche a sinistra che così i soldi andranno a vagabondi sdraiati sul divano. Concetti che, al di la del merito del provvedimento che certo avrà i suoi limiti e difetti, a sinistra dovrebbero far rabbrividire se non altro per qualche reminescenza di sociologia marxista. Fatto sta che la manovra economica di un Governo, dove c’è un partito del 32% che ha preso voti prevalentemente al Sud è di nuovo prevalentemente nordista.
E di cosa parla la sinistra? Quali sono le sue priorità? Dov’è la discontinuità da una sostanziale sudditanza alle priorità imposte dalla destra?
Ma la resa della sinistra su quella per decenni abbiamo chiamato “questione meridionale” la si può misurare anche con altri parametri.
Il 1 agosto del 2018 è stato presentato il Rapporto Svimez. Un tempo nel partito di massa in cui io ho militato sarebbe stato oggetto di studio, discussione pubblica, iniziativa politica, articoli. In vero credo il tema sia stato sugli organi di stampa mezza giornata non di più. Le considerazioni ascoltate a sinistra fiacche e di routine. Il Corriere della Sera in particolare ha fatto articoli sul Sud visto da Nord e credo che questo sia la tendenza dominante. E’ il Nord che giudica il Sud nessuno che faccia parlare il Sud davvero con la sua voce.
I dati sono impressionanti, segnano l’esistenza ormai di un baratro fra il Sud e il resto del paese e dell’Europa.
PIL -10% sul 2008 , consumi delle famiglie -9,7% , contrazione della spesa pubblica -7,1%, produzione manifatturiera -24,7%, investimenti -26,1% . Le Università si spopolano, crolla il numero dei laureati al Sud.
Anche gli aumenti previsti dal contrato del pubblico impiego per oltre il 60% vanno al centro nord e specularmente per oltre il 60% il redito di inclusione (REI) va al Sud.
I mitici fondi europei, per altro ampiamente saccheggiati per gli interessi del centro nord, in verità sono stati il pretesto, per tagliare le risorse nazionali da destinare agli investimenti al Sud.
Basta guardare la tabella delle opere autorizzate dal CIPE negli ultimi 10 ani per avere la controprova.
La concentrazione della proprietà delle strutture commerciali porta i soldi dei consumatori del Sud a Nord, e così anche il fenomeno della concentrazione del sistema bancario drena soldi al Sud per portarli a Nord.
Gli incentivi che sono stati dati alle imprese negli ultimi 10 anni attraverso la fiscalità generale sono soldi presi anche al Sud e dati prevalentemente al Nord dove ci sono le aziende.
Parallelamente nonostante la destabilizzazione avvenuta nell’ultimo decennio a causa delle politiche che hanno favorito la nascita dell’ISIS, il Medio Oriente e il Nord Africa si muovono con dinamiche concorrenziali a quelle del nostro Mezzogiorno. Quindi non solo il nostro Mezzogiorno è già sotto i dati della Grecia, della Spagna e del Portogallo ma fra poco dovrà fare i conti con Albania, Turchia, Marocco, per dirne solo alcuni.
Questo scenario dice ciò che accade realmente: un Sud in questo stato conviene solo al Nord che si pensa già separato. Per tutti gli altri è una grande questione nazionale.
Ed è da Sud che deve partire una battaglia radicale per riscrivere questa storia.
Solo una nuova sinistra può farlo. Una nuova sinistra “meridionalista” che metta assieme la critica a questa Europa, una visione fortemente euro-mediterranea, una idea di sviluppo che poggi sulle virtù proprie del Sud e non sugli interessi che il Sud può garantire al Nord. Una sinistra federalista.
Perché federalista? Perché il Sud deve avere gli strumenti per competere con il Nord e non per assecondarne l’arricchimento. Le loro strade possono correre parallele, convergere se serve, ma sono strade concorrenziali. La tara che il Sud ce la può fare solo con l’aiuto del Nord è un altra favoletta smentita dalla storia che la sinistra deve lasciarsi alle spalle. Il Sud non ha bisogno di sostegno, di mance più o meno ricche, va messo in grado di farcela da solo. La Repubblica deve armonizzare un sistema che consenta al Sud di fare prevalentemente da se, perché il classico intervento statale è improponibile, soprattutto oggi che gli stati nazionali, compreso il nostro, sono sempre più permeabili agli interessi delle oligarchie economiche e troppo speso loro mero megafono.
In assenza di strumenti autonomi, fiscali, amministrativi, di azione pubblica nell’economia in deroga alle norme europee sulla concorrenza ( l’ILVA probabilmente non andava né chiusa né venduta ma acquisita al patrimonio pubblico), di organizzazione dei sistemi educativi, di sostegno alle università e al diritto allo studio il Sud nel volgere di poco tempo finirà per essere meno concorrenziale del Nord Africa e del Medio Oriente.
Ci sono due appuntamenti imperdibili in tal senso:
1 Stare come regioni meridionali nella grande partita dell’attuazione dell’art.116 / 3° comma della Costituzione. In proposito non condivido il giudizio dello stimatissimo professore Viesti che giudica questa discussione come conseguenza di un “egoismo territoriale”. Sarebbe come dice il professore se l’argomento fosse trattato solo da Veneto, Lombardia, Piemonte e Emilia Romagna. Se invece diventa, e può diventarlo, occasione di rilancio del federalismo su scala nazionale, può essere lo strumento per dare al Sud l’autonomia di cui necessità per competere con il Nord allora la musica può cambiare completamente.
2 Le elezioni europee. Quale sinistra per quale Europa avremo in quella occasione? L’asfittica sinistra rappresentata plasticamente dalla SPD tedesca, dal PD italiano e dal PS francese? Oppure una sinistra eco-socialista, federalista e mediterranea? Si può fare ? Non so, mi pare difficile, ma certo avrebbe una forza d’impatto innovativo fortissimo e sarebbe davvero la nuova speranza politica per la civiltà europea e per il nostro splendido Mezzogiorno.
E’ sulla politica per il Mezzogiorno e sulla critica all’Europa che si gioca il futuro prossimo della sinistra. Una visione dell’interesse nazionale ha solo da guadagnare da una sinistra così e il tema non può certo essere lasciato al pressappochismo dei 5 Stelle.
Il loro fallimento più che nelle cantonate di Toninelli si misura sulla assenza di una strategia ispirata al Mezzogiorno che andava messa al centro della prima manovra economica del Governo del Cambiamento. Prevale la Lega e con essa gli interessi già molto protetti.