Via le scartoffie, certificati veloci e on line, autostrade informatiche dove far correre la pubblica amministrazione. Sono andate a rilento anche con il governo dei tecnici quelle voci dell’Agenda digitale che dovrebbe rendere efficiente e veloce la Pa. Salvo invece avere un’improvvisa accelerazione pre-elettorale che ha fatto insospettire tutti i sindacati, per la fretta che il governo uscente ha mostrato nel voler definire la governance dell’Agenzia digitale, la struttura che deve coordinare il processo di digitalizzazione, comprese le nomine dei dirigenti. Un numero di poltrone che Oriano Giovannelli, responsabile del forum Pubblica amministrazione del Pd, giudica eccessivo, con 4 direttori generali e 12 dirigenti a capo di 150 dipendenti. Ma ad essere sbagliata, secondo il democratico Paolo Gentiloni, ex ministro delle Comunicazioni, è proprio la governance dell’Agenzia, che fa capo a ben quattro ministeri e infine al presidente del Consiglio, anziché a un unico responsabile. In questa settimana, quindi a pochi giorni dal voto, i quattro ministri che controllano l’Agenzia digitale, Corrado Passera per lo Sviluppo, Francesco Profumo per l’Istruzione (Miur), Filippo Patroni Griffi per la Funzione Pubblica e Vittorio Grilli per l’Economia, firmeranno lo Statuto perché l’Agenzia possa diventare operativa. Un atto amministrativo per il quale non è necessaria l’approvazione in Consiglio dei ministri e che, secondo la legge 134/2012 (il decreto Sviluppo) deve essere approvato dopo 45 giorni dalla nomina del direttore generale, in questo caso Agostino Ragosa, ex dirigente Telecom. Il rischio che il governo proceda sulle nomine, compiendo uno di quei tipici atti dell’ultimora prima di cedere le redini a chi avrà vinto le elezioni, dovrebbe essere scongiurato. Non fosse altro che per i tempi, infatti lo Statuto controfirmato deve essere sottoposto alla visione della Corte dei Conti. Struttura pesante L’allarme dei sindacati, che avevano invitato il governo a fermarsi sull’approvazione dello Statuto e dal fare nomine prima del voto, è stato rilanciato dal democratico Oriano Giovannelli, osservando che è un atto «che può condizionare pesantemente una delle azioni strategiche più importanti per il nuovo governo del paese». Troppo pesante, inoltre la struttura dell’Agenzia, con 16 dirigenti, «quando dovrebbe essere un organismo che svolge funzioni di controllo e di governance dell’informatizzazione della pubblica amministrazione», prosegue l’esponente Pd che, nell’insieme, trova «affrettato e rigido» lo schema su cui procede il governo, con «l’anomalia» di una pianta organica scritta nello Statuto, quando ancora si devono decidere le funzioni da svolgere. Un altro punto non convince Giovannelli, spiega a l’Unità, è la «possibilità di costituire delle società con privati per gestire delle attività di digitalizzazione», praticamente attività imprenditoriali. Possibilità che in una prima versione dello Statuto era prevista, perché dei privati potessero creare delle società e partecipare a fondi, ma sono state eliminate. Certo procedere con delle nomine poco prima del cambiamento di guida del Paese è sempre visto come un blitz. Così come si sta affrettando alla Rai la firma del contratto di servizio con il ministero dello Sviluppo da esaminare nel Cda il 20 febbraio, il che confermerebbe ancora per un po’ le regole decise dai berlusconiani a Viale Mazzini. Un Al Gore italiano Ora, per l’Agenzia digitale sembra che ci siano parecchie persone in «attesa di poltrona», almeno chi deve essere ricollocato dallo smalitimento delle precendenti agenzie. Persino Renato Brunetta ha protestato per l’imminente varo dello Statuto, ed è andato oltre prevedendo catastrofi: «Aumento della spesa, nessuna selezione per i nuovi dirigenti, rinuncia alla separazione del potere di indirizzo da quello di gestione, sterilizzazione delle strutture di controllo, strapotere del direttore». Ciò che non convince affatto Paolo Gentiloni è il «vizio di origine» dell’Agenzia digitale, perché, spiega a l’Unità, «ha troppi padroni: ben quattro ministeri e la presidenza del Consiglio, il che ne blocca con troppi passaggi la possibilità di agire, mentre dovrebbe avere un referente unico a Palazzo Chigi», che sia un sottosegretario alla presidenza o allo Sviluppo, insomma una figura che possa gestire questo passaggio sul quale «siamo in forte ritardo», osserva il deputato Pd esperto di comunicazioni, come fece Clinton nel 1992 incaricando Al Gore di guidare e coordinare il processo di informatizzazione. Il vizio di origine è però contenuto nello Statuto. Secondo Gentiloni, quindi, sarebbe più prudente aspettare nell’approvazione dello Statuto», ma visto che il tempo stringe e già si è molto in ritardo con l’avvio dell’Agenda digitale, lo stesso Statuto andrà successivamente cambiato per «modificare non i compiti dell’Agenzia, ma l’inquadramento: troppi padroni, ci sia un solo responsabile».